Sergio De Benedetti, Libero 7/11/2013, 7 novembre 2013
LE 48 ORE CHE CAMBIARONO GLI USA LA MORTE DI JFK E DEL SUO ASSASSINO
John Fitzgerald Kennedy venerdì 22 novembre 1963 arrivò all’aeroporto di Dallas, Love Field, con l’aereo presidenziale Air Force One alle 11, 40. Accompagnato dalla moglie Jacqueline Bouvier, i Kennedy furono ricevuti dal governatore del Texas John Bowden Connally e dalla moglie. I quattro salirono a bordo della Lincoln Continental scoperta che aveva alla guida l’agente Bill Greer e l’agente speciale Roy Kellerman al suo fianco. La scorta comprendeva una Ford Illinois bianca davanti a tutti condotta dal capo della polizia di Dallas, Jesse Curry, con tre agenti dei servizi segreti, quindi la vettura presidenziale con due agenti motociclisti per ciascun lato lungo, seguita da una Cadillac halfback decappottabile con sette agenti speciali e due assistenti del presidente, sotto il comando dell’agente speciale Sam Kinney, incredibilmente anche autista. Seguiva poi il resto del convoglio, in cui, tra gli altri, figurava anche il vicepresidente Lyndon Johnson su una Lincoln 1963, decappottabile anch’essa, da quattro posti.
Nell’enorme abitacolo, i Kennedy erano seduti sul sedile posteriore, mentre i Connally, di spalle rispetto a loro, erano sugli “strapuntini” ubicati vicino alla paratia divisoria. L’auto presidenziale non aveva alcuna protezione, secondo i dettami dello stesso Kennedy che voleva mantenere quell’immagine di vicinanza con la gente, elemento vincente durante la campagna elettorale del 1960 rispetto al più prudente Richard Nixon. JFK fece fermare la vettura due volte. Per salutare alcune suore e per ringraziare alcuni bambini che, nella speranza di essere notati, avevano innalzato un immenso pupazzo con le sembianze del presidente.
Alle 12,29, la limousine entrò in Dealey Plaza passando di fronte al deposito dei libri della Texas School. Kennedy prima e Connally poi vennero colpiti due volte in rapidissima successione; quindi un terzo colpo (quello devastante per il presidente), dopo pochissimi secondi, lasciò ferito gravemente, ma non in pericolo di vita, il governatore e praticamente morto il presidente. Era accaduto infatti che Connally dopo il secondo colpo fosse scivolato sul grembo della moglie, mentre Kennedy, impedito dal rigido busto ortopedico, fosse rimasto invece nell’identica posizione che aveva al momento dei primi due spari. Dunque, una sorta di bersaglio fisso. Quando Kellerman si rese conto dell’accaduto e ordinò a Greer di precipitarsi all’ospedale di Dallas, la tragedia era già stata consumata. Kennedy aveva 46 anni.
Lee Harvey Oswald, nato a New Orleans il 18 ottobre 1939, dalla metà di ottobre era stato assunto come magazziniere presso il deposito della Texas School. Tiratore sceltissimo quando era nei Marines, nel giugno del 1959 abbandonò il corpo e attraverso la Finlandia entrò in Urss chiedendone la cittadinanza che però gli venne rifiutata. Un presunto tentativo di suicidio gli permise comunque di ottenere asilo politico e di trovare lavoro come operaio presso uno stabilimento di Minsk, dove incontrò Marina Prusakova che in pochi mesi sposò e dalla quale ebbe una bambina, June Lee, nata il 15 febbraio 1962. Deluso dall’esperienza sovietica ma sempre convinto filo-castrista, all’inizio del 1963 tornò con tutta la famiglia negli Usa e dopo alcuni lavoretti di poco conto a Dallas, trovò l’occupazione che conosciamo. Secondo il Rapporto Warren, Oswald sparò i colpi dal 6° piano del deposito con un fucile di precisione di fabbricazione italiana.
Jack Ruby, Jacob Rubenstein fino al 1947, di origine polacca, nacque a Chicago il 25 marzo 1911. Prima di partire per il militare aveva fatto il carpentiere. Ma sotto le armi capì che organizzare bische clandestine poteva diventare la sua specialità. Gestore di un locale notturno di terz’ordine, secondo Warren rimase emotivamente segnato dalla morte di Kennedy, arrivando fino al punto di pensare di potersi fare giustizia da solo. Ammanicato presso la locale polizia grazie ai suoi intrallazzi, la mattina del 24 novembre, domenica, approfittando della confusione che regnava, si presentò mentre Oswald veniva trasferito nella prigione della Contea e gli sparò un solo colpo all’addome che lo uccise all’istante. Erano le 11,21. Convinto che sarebbe stato trattato come un eroe, fu invece condannato a morte e successivamente graziato mediante commutazione della pena nell’ergastolo. Morì di cancro in carcere il 3 gennaio 1967.