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 2013  novembre 07 Giovedì calendario

TORTORA: “L’INCUBO INIZIÒ ALL’ALBA DI UN VENERDÌ 17”


[Enzo Tortora]

Buona sera Tortora.
Buonasera Biagi e grazie per avermi invitato a Linea diretta.
Quanti mesi ha trascorso in carcere?
Sette mesi in carcere e altri sei mesi agli arresti domiciliari, per un totale di 13 mesi di privazione della libertà.
Che cosa le è rimasto dentro di quest’esperienza?
Tutto, e qualunque sia la soluzione di questa storia non vedo come questo “tutto” potrebbe essere cancellato dalla mia vita. Sono cicatrici che rimangono per sempre, esperienze indimenticabili che fanno crescere, se mi è consentito questa espressione.
Cosa ha provato questa mattina quando è entrato in aula a Napoli da cittadino incensurato, che si dichiara innocente, accanto a quegli uomini accusati di essere dei camorristi?
Per prima cosa le dico che quegli uomini non si sono presentati. Lo smisurato bunker era deserto. Sono entrato alle ore nove, pronto ad onorare il mio impegno, la Corte del Tribunale si è presentata alle undici. Ho atteso due ore insieme ai miei difensori e ho pensato a tante cose. Biagi, lei ha scritto un bellissimo libro dal titolo: “Mille camere”, anch’io, senza essere arrivato a toccare le mille camere, tra cella, appartamento, ospedale, ne ho frequentate tante, però questa mattina ho visto la camera più smisurata e allucinante della mia vita, non riuscirei mai a spiegarle, con tutta la buona volontà, quello che ho provato nel momento in cui vi sono entrato. Una cosa però so: questo immane fiume di fango sta avviandosi, seppure con lentezza, con grande lentezza, al delta, all’estuario. Questo pensiero è l’unica cosa che mi fa provare sollievo.
Non si è sentito privilegiato dato che la sua qualifica di parlamentare le permette di essere a piede libero?
Il termine privilegiato è stato usato, le devo dire con mio disappunto, nei miei confronti, parecchie volte. Se si può considerare un privilegio battersi per una battaglia che reputo indispensabile per la mia vita; se si può considerare privilegio non andare per i fatti propri e visitare, quasi quotidianamente, le carceri; se si può considerare privilegio essersi impegnati fino alla spasimo a Strasburgo come deputato del Partito Radicale, di cui mi sento onorato di appartenere, per tentare di migliorare le condizioni dei carcerati; se tutto questo è considerato un privilegio, bene io sono un privilegiato.
Vorrei precisare che io considero un disgrazia essere imputati di camorra, ma considero anche che sia meglio essere imputati di camorra avendo la possibilità di fare altre cose che altri non fanno, privilegio è un termine che può sembrare persino offensivo, in realtà è “go - d e re” di cose che altri non hanno.
Questo è vero. Biagi, la prego di credermi, io mi batto per tutti, anche per quegli uomini del cosiddetto “maxi blitz”, con accuse ben più gravi delle mie, che sono il 20% dei carcerati di Poggioreale, che sono costretti a stare in celle con un solo buco per la toilette e alle tre del mattino devono svegliarsi per fare la coda per lavarsi sommariamente, subire la perquisizione per andare in aula verso le nove o le dieci. Certamente di fronte a questi io mi sento un privilegiato, ma forse lo sono meno se uso la mia libertà per denunciare con forza e disperazione per lo sfregio che viene fatto verso il rispetto della vita di chi sta nelle carceri, questo ora non mi riguarda ma gli altri sì.
Cosa ricorda di quella mattina in cui è stato arrestato?
Era venerdì 17 giugno 1983, stavo a Roma nella stanza dell’albergo dove scendevo da più di vent’anni, bussarono alla porta alle quatto e un quarto del mattino. Il giorno prima alcuni giornalisti mi avevano portato un’agenzia stampa che parlava del mio arresto. Allora ero ancora capace di una certa ironia, risposi usando una frase di Winston Churchill quando scrissero della sua morte: “Credo che la notizia sia lievemente esagerata”. Quando i carabinieri mi dissero che erano lì per arrestarmi, non capii nulla, mi sembrava di essere in un incubo, quando mi misero le manette inorridii e mi resi conto che non si trattava di un sogno ma della realtà. Quel giorno ha rappresentato per me il precipizio verso il buio, lo porterò per sempre dentro di me. È una storia molto dolorosa che combatterò giorno dopo giorno, fino alla fine.
Sono certo che si sarà posto la domanda che si sono fatte tante persone: “Perché tutto questo è accaduto proprio a Enzo Tortora?”.
Ho risposto tante volte a questa domanda. Per darle una risposta precisa dovrei fare un viaggio nella psichiatria ma non sono uno psichiatra, cercherò di spiegarmi al meglio per comunicare quello che ho dentro. Il mio nome è stato fatto nel marzo 1983, mentre comparivo tranquillamente nelle mie trasmissioni, da un certo Giovanni Pandico, un personaggio che è già stato giudicato, con più sentenze, come schizofrenico e calunniatore, quella più recente è del novembre 1984. È una sentenza che tutti dovrebbero conoscere, il tribunale che l’ha emessa è quello di Livorno e non dell’Oceania, e definisce Pan-dico “un uomo con una personalità da mitomane e deviante, con tendenza a precostituire le prove”. Io credo che qualunque manuale di psichiatria presenti dei casi di soggetti analoghi che scelgono dei bersagli il più possibile appetitosi, allo scopo di ingigantire il loro senso di mitomania e di potenza. Tra pochi giorni, credo, avrò il “piacere” di incontrarmi in tribunale con questo personaggio.
Lei è accusato di spaccio, detenzione e uso di sostanze stupefacenti, associazione di stampo camorristico, pranzi e cene con malavitosi, accuse che se provate potrebbero comportare una notevole condanna, quali di queste la feriscono di più?
Tutto quello che è stato detto su di me è pazzesco. Le accuse sono tutte infamanti ed enormi, per cui non c’è una che mi sgomenta più dell’altra. Anche il pubblico è rimasto sbigottito di fronte alle accuse che mi sono state fatte: io sono quello che i telespettatori hanno conosciuto attraverso le tante trasmissioni che ho fatto, se non fosse così sarei il più grande attore del mondo da meritarmi l’Oscar della menzogna, per anni sarei stato una specie di Dracula, di mostro sotterraneo, è evidente che qualche cosa non ha funzionato nella giustizia. Per usare, parlando del mio caso giudiziario, il termine “mal funzionamento” , Biagi, la prego di credermi, mi sto contenendo.
Non voglio e non posso fare un processo, prima dell’arresto cosa sapeva di Cutolo, di Pan-dico e della camorra in genere?
Sono stato accusato di essere stato visto a pranzo e a cena, a Milano, con Francis Turatello, pensi che non sapevo nemmeno che fosse morto. Le parrà strano questo, ma la cronaca nera non è mai stato né il mio settore né il mio genere, mi occupavo di tutto eccetto di quello. Camorra, Cutolo, Turatello, questi nomi hanno cominciato a grandinare su di me in modo ossessivo dal momento in cui scattarono le manette. Lei sa che io fui esibito come una sorta di osceno trofeo di caccia dalla televisione di Stato. Per giorni e giorni, fui usato come un “Carosello” della camorra. Entrai in questo mondo che non mi apparteneva, dal quale sono lontanissimo per cultura, per educazione, per mille motivi e dissi: “È come se una atomica mi esplodesse dentro”. Non ne sapevo nulla. Oggi ne so quello che ho dovuto apprendere per dovere d’ufficio, di difesa, soprattutto leggendo quei giornali che scrivevano e disegnavano anche graficamente di me biografie inimmaginabili.
Ho letto una sua dichiarazione nella quale afferma che non deve essere lei che dimostra la sua innocenza ma devono essere gli altri a provare la sua colpevolezza, in linea di principio sembrerebbe facile ma in pratica cosa accade?
Accade quello che è successo ieri a Napoli, durante la conferenza stampa, che abbiamo voluto fare unicamente per evitare la subrettizzazione del processo, cioè impedire che venga focalizzato prevalentemente su particolari da rotocalco, con la presenza di un personaggio, cosiddetto pubblico, è facile cadere in questa tentazione. Io credo, invece che questo processo meriti grande attenzione, sono in ballo principi che vanno oltre il mio nome, al ruolo di persona pubblica, che superano i nomi di tutti coloro che ne sono coinvolti. I temi trattati sono importantissimi, e le accuse devono essere suffragate dalle prove e non dalla sola infamia delle parole dei cosiddetti pentiti. Sono sicuro che qualcuno sperava che dicessi: “Beh, in qual cosina c’entro” e che aggiungessi: “Sono immensamente dispiaciuto, chiedo scusa”, ovviamente lo dico con ironia. Ho capito, invece, che sarei dovuto andare oltre all’affermazione: “Io non c’entro nulla”, per questo ho detto con forza: “Io c’entro quanto c’entrate voi, ma lo dovete provare”. È la sola cosa che può dire uno che come me non c’entra nulla: io con la droga e la camorra non ho mai avuto a che fare.
Qualunque sia l’esito del processo, che cos’è che non potrà mai più riavere, oltre ai giorni perduti?
Una visione della vita forse eccessivamente costruita su alcune certezze, che sono poi quelle che la gente ha il diritto di avere, forse è più giusto dire che la gente avrebbe il diritto di possedere: la giustizia come colonna portante dello Stato e una vera democrazia. Capisco quando certe volte le persone dicono, come è accaduto con me: “Ma se uno va in galera qualcosa avrà pur fatto” oppure “Se sta tanto in galera qualcosa c’è sotto”. Anch’io, fino al giorno prima che mi accadesse tutto questo, ero tra quelli che la pensavano così. È l’istintivo tributo di fiducia che il cittadino ha verso la giustizia, ma questa volta è accaduto qualcosa di tremendo nel nostro diritto, nel nostro codice, nelle nostre leggi: il treno della giustizia è deragliato, occorre che le cose tornino sui binari della civiltà.
Grazie Tortora.
Biagi, grazie a lei.