Fabio Martini, La Stampa 7/11/2013, 7 novembre 2013
GIOVANI E OPERAI, IL SEGRETODEL BOOM DEI CINQUE STELLE
Il più forte terremoto elettorale nella storia della Repubblica, quello delle Politiche 2013, è stato determinato da sommovimenti di opinione e sociali più profondi di quelli intuiti a caldo, come rivela il Rapporto sul comportamento e le motivazioni degli elettori elaborato dall’Istituto Itanes e pubblicato da «Il Mulino», da oggi in libreria. Tanto per cominciare, mai come stavolta si è determinato un voto così diverso tra generazioni. Tra i giovani il successo del Cinque Stelle si rivela torrenziale, molto più ampio di ogni ragionevole immaginazione: il 44,6% dei ragazzi tra i 18 e i 24 anni ha votato per Grillo, mentre il Pd - che ripete di voler difendere la ragioni dei giovani - non è stato assolutamente creduto, raccogliendo in questa fascia d’età un modesto 16,6%. E tra i disoccupati in cerca di prima occupazione, il partito allora guidato da Pier Luigi Bersani, subisce una beffa: è superato persino dal Pdl. Ma se, per pura ipotesi, avessero votato soltanto i «sessantottini»? Allora sì, avrebbe vinto il Pd: nella generazione del Sessantotto, il partito democratico risulta il primo, col 29,3%, quasi cinque punti in più della media ottenuta alle elezioni. Tra i numerosi spunti offerti dallo studio Itanes, uno riguarda anche il futuro: in una ricerca concentrata sugli elettori del Pdl, si scopre chi non ha più votato per quel partito, lo ha fatto in larga parte per insofferenza nei confronti di Berlusconi. Con ciò dimostrando quanto sia stretta - ma non impraticabile - la strada per gli (eventuali) «scissionisti» alfaniani: chi ha rivotato Pdl, continua a stimare Berlusconi e all’88% è pronto a rifarlo, mentre chi lo ha lasciato, è perché ha dato un giudizio negativo sul Cavaliere e sul suo governo.
Dopo le tante analisi a caldo sulle motivazione elettorali degli italiani, la Itanes (Italian National Elections Studies) col contributo di diverse Università e dell’Istituto Cattaneo pubblica - come sempre dopo tutte le Politiche - un Rapporto intitolato questa volta «Voto amaro» e fondato su quasi diecimila interviste. Partendo dal primo dato eclatante di queste elezioni, la mobilità senza precedenti degli elettori, lo studio dimostra che dentro questo enorme frullatore, l’unica cosa che non si è mossa sono stati i voti dal centrodestra verso il centrosinistra e viceversa. Il tutto si riassume in un dato: il 50% degli elettori ha cambiato partito, ma soltanto il 3% ha passato le linee tra le due aree principali.
Una stagnazione che suona come un terribile atto di accusa per chi doveva vincerle le elezioni, il Pd, anche perché - a dispetto della mitizzata rimonta di Berlusconi il Pdl ha subito «un crollo eccezionale», 15 punti percentuali, più di sei milioni di voti, un collasso che «non ha pari nella storia repubblicana». Il Pd, a sua volta, ha perso tre milioni di voti: resta di gran lunga il primo partito tra i pensionati, tra gli impiegati esecutivi (con una percentuale addirittura del 41,4%) e anche nella generazione che è diventata maggiorenne intorno al 1968, ma perde un primato storico, quello tra gli insegnanti (20,5%) e soprattutto - il dato è clamoroso - tra gli operai: il 29,2% di loro ha votato per il Cinque Stelle, il 28,6% per il Pdl e appena al 21,5% per il Pd. Interessante il voto della «generazione Berlusconi», gli italiani diventati diciottenni tra il 1994 e il 2003: questi elettori che hanno assistito da giovani alle crescenti contorsioni del Pd, lo votano in pochi (appena il 18,2%), mentre dilaga il Cinque Stelle (35,5%) e il Pdl è sopra la sua media. E quanto al Pdl, interessante la notazione nel saggio di Gianluca Passarelli e Dario Tuorto: col voto di febbraio il partito di Berlusconi «accentua la sua capacità di attrazione tra gli elettori meno istruiti», con «tratti di relativa marginalità sociale e culturale». Due dati eloquenti: il partito di Berlusconi è di gran lunga il più votato (38,3%) tra chi ha soltanto la licenza elementare e pochissimo (11,8%) tra chi ha una laurea.