Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  novembre 07 Giovedì calendario

IL «GOD BLESS AMERICA» FINISCE ALLA CORTE SUPREMA

È lecito iniziare la seduta di un consiglio comunale o di qual­siasi altra assemblea pubblica con una preghiera? La tradizionale “preghiera legislativa” – perfino il so­lito “God bless America” – può essse­re mantenuta? La questione non sembra essere stata mai del tutto chiarita negli Stati Uniti: devoti, fe­deli alle loro origini cristiane, e abi­tuati a invocare l’intervento divino nella vita pubblica, ma anche rigoro­si nell’evitare discriminazioni fra le fedi e nel professare la separazione fra Stato e Chiesa.
Dove, però, quella linea di separazio­ne esattamente ca­da è aperto all’in­terpretazione dei tribunali da più di 200 anni. La fre­quenza di casi si­mili si è però note­volmente diradata.
Ieri, quando la Corte suprema ha esaminato la costituzionalità di una sentenza sul diritto alla preghiera, era da trent’anni che non si sentiva parla­re di Dio nelle sue severe stanze. Tran­ne, naturalmente, all’inizio di ogni se­duta, quando i nove togati chiedono «a Dio» di «salvare gli Stati Uniti e questa onorevole corte».
Il caso in esame e­ra una causa mossa da due donne della città di Greece, nel­lo Stato di New York, dove dal 1999 ogni riunione del consiglio comunale è stata preceduta da un momento di preghiera. Le due donne, una atea e una ebrea, non con­testano l’abitudine in sé. Non hanno gradito che la maggior parte delle in­vocazioni siano state affidate solo a ministri di fede cristiana.
Solo dopo il 2008, quando si sono la­mentate, il sindaco della cittadina, John Auberger, ha cominciato a invi­tare esponenti di altre religioni in Consiglio. Ma ormai il cammino le­gale era partito e il caso aveva assun­to vita propria, attirando difensori e oppositori della preghiera non solo nelle assemblee locali, ma anche in altri uffici pubblici. L’ultimo pronun­ciamento del massimo tribunale a­mericano in merito risale al 1983, quando decise che Parlamenti, as­semblee e consigli potevano pregare purché non facessero nessun tentati­vo di proselitismo e non discriminas­sero nei confronti di chi non aderiva ai momenti di invocazione del divino. Molti esperti di diritto costituzionale sostengono, però, che quella senten­za non era abbastanza specifica e che da allora molti casi ne hanno messo alla prova i limiti. Eppure negli ultimi tre decenni non è diminuito il nume­ro di candidati e di personaggi politi­ci, anche non esplicitamente religio­si, che terminano i loro discorsi con un ringraziamento a Dio e con la ri­chiesta che protegga gli Stati Uniti, o la loro città, o la loro famiglia.
«Abbiamo una ricca tradizione – ha fatto notare il sindaco di Greece, Au­berger – che risale alla fondazione del­la nostra nazione, di aprire le assem­blee in cui vengono prese importanti decisioni con una preghiera, a partire dalle sessioni del Congresso che stilò la Costituzione e che proibì al gover­no americano la professione di una re­ligione di Stato».