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 2013  novembre 06 Mercoledì calendario

FARÒ DI LIALA UNA GUERRIERA


Roma, novembre.
Il ricordo di una recente intervista “deformata” sui siti, la ferisce. «Mi sono messa in discussione come mamma tradizionale. E mi hanno dipinto come una mamma cattiva. Come se non volessi bene alla mia unica figlia. Ho pianto un pomeriggio intero per questa cattiveria». Licia Colò, 51 anni, mamma di Liala, 7 (avuta a 43 anni dal pittore napoletano Alessandro Antonino), alla sua bambina, e al suo speciale rapporto con lei, ha dedicato Per te io vorrei. Ti racconto che il mondo può essere bellissimo. Un libro non “alla Liala”. Nonostante il nome della piccola destinataria. E il roseo sottotitolo.
FUORI DAL SUO MAGICO GUSCIO
«Il titolo giusto sarebbe stato “Vorrei vivere per sempre”», racconta la conduttrice giramondo di Alle falde del Kilimangiaro. «Vorrei “vivere per sempre”, per stare sempre vicino a mia figlia. Per continuare a proteggerla. Per non doverla abbandonare. Ma come tutti dovrò morire. Allora è bene che la mia fortunata Liala sappia alcune cose del mondo reale. Quello che esiste fuori dal guscio dorato di casa nostra. Quel mondo dove tanti suoi coetanei patiscono la fame; molti sono orfani, altri subiscono violenza. Quanti non potranno studiare, anche se dotati. Qualcuno di loro non ha mai conosciuto la carezza di un adulto. Ma la mia Liala deve anche sapere che i valori esistono. Sono un salvavita nei momenti duri. Quando tutto si ingarbuglia e si fa buio. In quei momenti, anche senza la sua mamma, grazie ai valori appresi, mia figlia reagirà. E il mondo tornerà a sembrarle bellissimo. L’ho imparato dalle persone sagge incontrate nei tanti viaggi. E dalla mia nonna Lina (alias Nonni): l‘anno scorso è morta a 100 anni. Continua a vegliarmi, leggera come una piuma». Licia riprende fiato. Continua: «Con Liala cammino nei parchi, tra gli animali. Leggo fiabe istruttive: lei ascolta incantata. Ma non giochiamo con le bambole. Non mi verrebbe bene: non mi piace farlo. E non la vizio comprandole troppi vestiti, o cose inutili. “Deve solo trasmetterle se stessa. Senza provare a essere ciò che non è”, mi ha detto una psicologa incontrata in piena “crisi da maternità”. Aveva ragione. Quando ho smesso di voler essere perfetta, sono diventata una mamma migliore. E mia figlia ha apprezzato. Lo ha fatto la scorsa estate, per esempio. Quando la mia Liala mi ha fatto un dono. Al mare, ha visto alcuni bambini alle prese con una medusa spiaggiata. Per gioco, la stavano uccidendo. Mia figlia è intervenuta. “Anche la medusa è una creatura. Ha una mamma: ha diritto di vivere’, ha detto ai coetanei “mostri”. Prima di ributtarla in acqua. “Anche la medusa ha una mamma: ha dei diritti”: con queste parole, Liala mi ha commosso».
«NEL SUO NOME LE NOSTRE INIZIALI»
«Quanta responsabilità abbiamo noi mamme, nel trasmettere sicurezza ai nostri figli», continua Licia. «Ma a volte sono i figli a rassicurare noi. Liala lo ha fatto quando le ho detto di quel brutto “copia e incolla” sul web. L’articolo titolava: “Licia Colò si annoia con la figlia”. Se Liala l’avesse letto (o se i compagni di scuola glielo avessero riferito) ci avrebbe creduto? Avrebbe messo in dubbio il mio affetto? Il pensiero mi sconvolgeva. Dovevo parlarle subito. Renderle conto di quella contraffazione. Non era semplice. Ho iniziato a spiegare, interrompendomi più volte per l’emozione. Liala mi ha aiutato. “Mamma, chi è la giornalista che ti ha fatto tanto male?”, mi fa, fissandomi con gli occhi severi. “Se me la fai incontrare, la picchio: non dimenticarti che faccio karaté”.
«Liala diceva sul serio. Qualche tempo fa l’ho iscritta a un corso di arti marziali: è giusto che sappia difendersi. Ma coltivando disciplina e calma interiore. Come fa chi pratica quelle discipline orientali. Insomma, poco “lialesca”, la mia Liala. Del resto, il nome non lo deve alla celebre scrittrice rosa. Ma all’iniziale del mio nome, incrociata con quella di suo padre: Liala viene da Li (Licia) e Al (Alessandro), con una aggiunta «a» finale (sta per always, sempre). Quanto alla “Liala vera”, pochi lo sanno: era una femminista anzitempo. Nei primi anni del Novecento, portava i pantaloni, guidava l’automobile. Prediligeva la compagnia di una grossa gatta appisolata sulla pancia, mentre scriveva». Una gatta che a Licia ricorda Pupina, l’adorata soriana, morta di recente. Con cui ha educato Liala: grandi fusa e... tanta libertà.