Giuseppe Fumagalli, Oggi 6/11/2013, 6 novembre 2013
GALEOTTO FU IL FOGLIETTO
Milano, novembre.
Domnica Cemortan, la hostess moldava della Concordia, finalmente ha ammesso. Incalzata dai giudici di Grosseto, ha dichiarato quello che tutti (tranne chi scrive) avevano capito. «Avevo una relazione sentimentale col comandante Francesco Schettino», ha detto. E a noi di Oggi racconta tutto il resto. Pone un limite invalicabile in camera da letto. Racconta del foglietto galeotto che ha fatto nascere la storia. Com’è naufragata. Come è stata nascosta e perché.
Domnica, prima nega, poi va oltre e dice addirittura di essere l’amante di Schettino.
«Mai detto. Mi sembra di essere tornata al 2012 dopo il mio primo interrogatorio quando un giornale scrisse che avevo dichiarato di amare Schettino. Mai detta una cosa del genere. Mai detto di essere l’amante. In tribunale ho parlato di relazione sentimentale. Come lo volere tradurre in italiano? Anche un bambino potrebbe riuscirci».
Ha pronunciato anche la parola amante.
«E vero. Quando mai l’amante del comandante paga il biglietto. L’ho detto. Una battuta stupida pronunciata in preda all’agitazione».
Quindi amante o relazione sentimentale?
«La storia, se così la vogliamo chiamare, è durata un paio di settimane. Amante mi sembra una parola grossa».
Vogliamo parlare della relazione sentimentale?
«No, troppo privato. Ho combattuto addirittura coi giudici per non parlarne».
Non crede sia meglio scoprire le carte?
«Ho scoperto quello che si poteva scoprire. Se poi qualcuno pretende di entrare tra le lenzuola dico no. Esistono limiti che per il rispetto delle persone non possono, non devono essere superati».
Vorremmo solo inquadrare la storia entro coordinate di tempo e luogo.
«Facile. Mi sono imbarcata su Concordia il 9 dicembre 2012 e sono scesa il 28. La hostess dei passeggeri russi, che io avrei sostituito, durante un gala mi ha presentato a tutto il personale di bordo. Compreso Schettino».
Nessuno l’ha messa in guardia, nessuno le ha parlato di Schettino come un play boy?
«Mai sentito nulla. A bordo si lavorava come matti. Ero in piedi alle 6 di mattina e andavo a dormire all’una o alle 2 di notte. Massacrante». A bordo lavorano migliaio di persone.
Com’è stato possibile che proprio lei, in un tempo così breve, sia riuscita a entrare prima in contatto e poi nelle grazie del comandante?
«Il mio lavoro si sviluppava attorno a Schettino. Chi ha partecipato a una crociera sa che il comandante è presente a tutti i meeting, feste o gala. Le hostess delle diverse nazionalità sono sedute accanto a lui per fare da interpreti quando gli vengono presentati ospiti di riguardo o gruppi di passeggeri stranieri».
Quindi faceva parte di una ristretta cerchia di collaboratori.
«Sì, e com’è successo, il capitano può invitare te e le tue colleghe a bere qualcosa, a scambiare due battute a tavola. Si crea un rapporto di maggior confidenza».
È stato in quelle occasioni che si è manifestato un interesse?
«Interesse non direi. Si crea un’atmosfera più distesa, c’è spazio per una battuta, uno scherzo».
Ma chi dei due, lei o Schettino, ha fatto il primo passo?
«Ma non scherziamo. Il comandante? Non avrei mai osato. Per noi era un dio. E l’uomo che a bordo può tutto. Parla lui e tutti si mettono sull’attenti. Sì comandante, certo comandante, subito comandante...».
La cosa ha il suo fascino.
«Lo aveva. Schettino poi aggiungeva un suo charme particolare, un carisma, un modo autorevole ma gentile di farsi obbedire».
La storia tra voi quando è cominciata?
«Non ho segnato la data, ma era la mia seconda settimana a bordo».
Come siete riusciti a isolarvi?
«Ci sono occasioni in cui una hostess può trovarsi sola col comandante».
Racconti.
«Quando a bordo è presente un certo numero di passeggeri, tutti della stessa nazionalità, il comandante li riunisce in una sala della nave e li accoglie con un messaggio di benvenuto. I russi erano parecchi. Ce n’erano almeno un centinaio ogni crociera. Schettino non parlava il russo ed ero io a preparargli il testo da leggere in pubblico».
Bene. Ma siamo ancora lontani da una relazione sentimentale.
«Non basta preparare il testo. Va trascritto, dall’alfabeto cirillico a quello latino, tenendo conto della fonetica e poi va consegnato al comandante perché lo legga con una pronuncia accettabile. A guidarlo nella lettura ci deve essere una persona di madre lingua. Che per il russo ero io».
È un momento particolare. I ruoli si rovesciano ed è il comandante a dovere obbedire. Dove eravate?
«Nello studio, annesso alla cabina del comandante».
Lei e lui. Voi due soli.
Più il foglietto galeotto.
Cos’è successo?
«Stop. Non è il caso di proseguire».
Stop lo ha detto anche al giudici.
«Ho sbagliato. Ma ai media posso dirlo».
Ma almeno spieghi come facevate a incontrarvi, senza essere visti?
«Come ho detto il lavoro mi impegnava a tempo pieno. Cominciavo il mattino all’alba e finivo a notte fonda. Non sono in tanti a circolare per la nave in quegli orari. Quasi tutti dormono. E si può osare qualcosa di più. Non aggiungo altro».
Non è la prima intervista con Oggi. E non è la prima volta che non vuole dirci di più.
Qualsiasi persona al mio posto avrebbe agito allo stesso modo. Ero tornata a casa e ricordo il boom, l’esplosione mediatica tre giorni dopo l’incidente. C’era staro un disastro e una strega che lo aveva provocato. Quella strega ero io. Nessuna bugia. Ho semplicemente nascosto la relazione con Schettino per proteggere me, la mia vita privata e anche quella del comandante».
È stato lui a chiederglielo?
«Schettino da quella notte non l’ho più visto né sentito. Credo avesse altro a cui pensare. E mai, dico mai, si è fatto vivo per chiedere una cosa del genere».
Un naufragio con 32 morti. Di fronte a un disastro di quelle proporzioni, che senso aveva nascondere un dettaglio del genere?
Se permettere sono io che giro la domanda a voi, a lei e a tutti i media del mondo. Di fronte a un disastro di quelle proporzioni che senso aveva occuparsi di una sciocchezza, di un dettaglio insignificante, di uno stupido gossip? E invece di quello si è parlato per mesi».
Il comandante è il protagonista della vicenda. Sapere cosa girava nella sua testa o nel suo cuore prima dell’incidente non sembra così irrilevante.
La relazione tra me e Schettino non è rilevante per l’accertamento dei fatti di quella notte. Tant’è vero che i giudici in tutti gli interrogatori su questo aspetto della vicenda non hanno mai fatto una domanda.»
In aula la domanda gliel’hanno fatta. E rifatta. Un’infinità di volte. Finché non ha detto la verità.
«I giudici non avrebbero mai chiesto nulla. È stato su sollecitazione di un avvocato. Ma la cosa, ripeto, non incide sull’accertamento della verità. Non abbiamo scoperto un guasto al motore o al timone».
Abbiamo scoperto un possibile guasto nel sistema emotivo del comandante.
«Pensate quello che volete. Per i giudici non è così. I fatti rimangono quelli. Cambia solo il valore della mia testimonianza. Quello che ho detto potrebbe essere stato influenzato dai miei sentimenti per il comandante. Anche se così non è. Ho detto tutto e l’ho detto nel modo più trasparente possibile, con l’unica speranza di dare un contributo all’accertamento della verità».
A parte chi scrive, il suo rapporto con Schettino sembrava scontato a tutti, tanto valeva parlarne subito.
«Il mondo dell’informazione mi è sembrato un mostro. Non immaginavo tanca cattiveria, tanto squallore, tanta aggressività. Mi sono sentita male. Sono crollata psicologicamente. Se solo avessi accennato alla storia con Schettino sarebbe venuto giù il mondo».
Non pensa che dare in pasto la storia sarebbe servito a placare la belva?
«Non lo so. In quel momento ho obbedito al mio istinto. E l’istinto mi ha detto di proteggere me e mia figlia. Allora avevo 24 anni, ero una ragazzina e avevo lasciato il mio Paese, la mia famiglia, per progredire, fare dei passi avanti nel lavoro e nella vita. Volevo cambiare. Non avevo 70 anni quando uno ha giocato la sua partita e può guardare a tutto con distacco. A 24 anni, la mia partita era all’inizio. Ho avvertito un senso di pericolo, la sensazione che se avessi detto tutto mi avrebbero distrutta».
Dopo aver rivelato la storia con Schettino ha detto che si sentiva morire per la seconda volta. A qualcuno è sembrato poco rispettoso per chi al Giglio è morto davvero.
«Ormai tutto quello che dico viene messo sotto una lente e commentato per strappare consensi o facili applausi. Ero a bordo, ho vissuto in prima persona la tragedia della Concordia, ho fatto tutto quello che ho potuto per aiutare i passeggeri, la mia vita era in gioco come quella degli altri. Alla fine ne sono uscita viva, ma ho sentirò qualcosa morire dentro di me. Dopo il primo disastro ho cercato di evitarne un secondo e come è mio diritto, ho difeso coi denti la mia vita privata. E proprio per tutti quei morti ho pensato che fosse più importante chiarire la dinamica dell’incidente che non parlare di una relazione del tutto irrilevante».
Cosa fa oggi?
«Ho perso un lavoro che amavo e non sono riuscita a trovarne un altro. Mi occupo di mia figlia, spero di uscire da un incubo e riannodare la mia vita a una speranza che si è spezzata quella notte al Giglio».