Isabella Bufacchi, Il Sole 24 Ore 6/11/2013, 6 novembre 2013
MA IL RISCHIO ITALIA NON VA A RUBA
Tutti pazzi per il BTp Italia. Sì, è così, è andato a ruba ieri. Sulla scia di questo successo di pubblico, sarebbe bello poter dire che è andato a ruba anche il Rischio Italia. Ma le cose non stanno così: anche se è indubbio che il forte interesse, anche estero, per il BTpI sia un vanto per il Paese e allevi il peso delle aste da qui a fine anno.
A giudicare dagli ordini pervenuti ieri, l’appetibilità del quinto BTp indicizzato all’inflazione italiana è stata molto elevata: 17 miliardi circa di sottoscrizioni nella prima giornata di collocamento, quando per il BTp Italia nell’ottobre 2012 ci sono voluti quattro giorni per arrivare a quota 18 miliardi. Mentre per quello dello scorso aprile, i 17 miliardi totali sono stati raggiunti dopo due giornate da oltre 8 miliardi.
Sono sostanzialmente tecniche, e non proprio "italiane", le motivazioni che rendono il BTp Italia uno strumento d’investimento speciale e richiestissimo dal retail. Per le tasche del risparmiatore, questo titolo presenta più di un vantaggio rispetto ai BTp standard: viene collocato alla pari e questo significa che è facile calcolare quanto rende al momento dell’acquisto, a differenza delle aste assegnate con prezzi sopra o sotto la pari; paga una cedola semestrale, molto gradita al retail e oltretutto calcolata sul capitale già rivalutato in base all’inflazione (quindi la rivalutazione del capitale non è corrisposta solo a scadenza come per altri titoli indicizzati) e con il prezzo utilizzato per il calcolo della cedola che non scende sotto la pari nel caso di deflazione; la durata fissata a quattro anni è anomala forse per gli istituzionali ma è una giusta via di mezzo tra il breve e il lungo termine per i privati; la possibilità di acquistarlo al collocamento da casa, con l’home banking in modalità trading online, lo rende un prodotto moderno, al passo con i tempi; il premio di fedeltà, corrisposto alle sole "persone fisiche" quindi al risparmiatore, premia con il 4 per mille lordo sul valore nominale dell’investimento il cassettista, chi acquista in asta e mantiene in portafoglio fino a scadenza.
Le valutazioni dell’investitore istituzionale sono state ieri ben più sofisticate di queste, basate su vari fattori tra i quali anche il breakeven (la differenza tra il rendimento del titolo indicizzato all’inflazione e il rendimento di un titolo nominale di pari scadenza): il BTp Italia ha anche in questo caso strafatto. È risultato conveniente rispetto ai BTp nominali e a quelli indicizzati all’inflazione europea.
Il boom delle richieste registrato ieri fa pensare che la partecipazione degli ordini istituzionali sia stata molto elevata: a poco è servita la nuova clausola inserita nell’information memorandum in base alla quale «fermo restando che non esiste un limite al numero di proposte di acquisto sul MOT che ciascun investitore potrà trasmettere, si segnala che ciascuna proposta di acquisto avrà un taglio minimo di 1.000 euro ed uno massimo di 500.000».
Impossibile che le sottoscrizioni oggi, aperte fino alle 14,00 e «soddisfatte per intero» (come vuole l’emissione a rubinetto) risultino pari a zero. I due BTp Italia di quest’anno dunque porteranno alle casse dello Stato dai 34 miliardi in su, tutti con scadenza 2017, un’annata già pesante per il rimborso dei titoli di Stato a medio-lungo termine. Tenuto conto dei CTz potenziali (titoli a due anni emessi nel 2015) nel 2017 il Tesoro dovrà rimborsare ben più di 200 miliardi di titoli di Stato a medio-lungo termine: un ammontare molto elevato e lontano dai 160 miliardi circa di quest’anno, dai 190 circa del prossimo anno e dei potenziali 170 del 2016.
È giusto gioire per un’emissione di BTpI andata a ruba: anche perchè allevierà molto il peso delle aste da qui a fine anno. Ma il maxi-importo sottoscritto ieri, da Guinness dei primati europei, è un triste richiamo all’altro primato italiano, quello di primo emittente di titoli di Stato nell’Eurozona con un debito pubblico da 2.000 miliardi e un rapporto debito/Pil al 133% che fa tremare i polsi al mercato ogni qual volta il Pil frena o arranca. Il Rischio Italia non andrà a ruba fino a quando la crescita potenziale del Paese non avrà blindato definitivamente la sostenibilità dei conti pubblici con un debito/Pil in calo e outlook stabili o positivi sul rating sovrano. Non andrà a ruba fintantochè l’instabilità politica continuerà a tenere il Paese sotto scacco.
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