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 2013  novembre 06 Mercoledì calendario

DE BLASIO: LA MIA RIVOLUZIONE PER NEW YORK


L’INTERVISTA
NEW YORK L’ultimo comizio prima del voto che lo incoronerà sindaco, Bill de Blasio lo ha tenuto lunedì sera nel giardino di un quartiere di case popolari del Queens, oltre l’aeroporto Kennedy, ai confini estremi della città. Nella campagna elettorale ha superato quota 700 di soste come questa. Faceva freddo, la folla di sostenitori era sparuta, ma galvanizzata.
Che significato ha chiudere la campagna così lontano dal municipio?
«Voglio far capire ai miei elettori che sarò un sindaco capace di ricucire le fratture tra centro e periferia, tra ricchezza e povertà che l’amministrazione Bloomberg ci sta lasciando. New York è molto di più che le vetrine di Madison Avenue o i grattacieli dell’East Side di Manhattan e io sarò il sindaco di tutti».
Come ha fatto a lasciarsi l’avversario repubblicano a una tale distanza?
«Joe Lhota ha impostato la campagna dicendo che avrebbe assicurato continuità con la passata amministrazione e non si è reso conto che i newyorkesi erano delusi e stanchi. Ha promesso sgravi fiscali a pioggia per la grande impresa e nei miei confronti ha cercato di evocare sentimenti di paura e di ansietà negli elettori. La responsabilità del distacco con il quale arriviamo al voto è in gran parte nelle sue mani; io ho solo tenuto la barra dritta sulla mia promessa di cambiamento».
Qual è la scommessa più grande che la attende?
«Bloomberg e il suo capo della polizia ci hanno detto per anni che eravamo di fronte a una scelta obbligata: sicurezza dei nostri cittadini o il rispetto delle libertà civili e costituzionali. Io voglio provare che si sbagliavano e che si può governare una città pacificata senza violare i diritti delle persone, specie se le persone contro cui si commettono abusi sono accomunate da una identità di razza o di ceto sociale».
Lei ha proposto un’agenda di forte stampo progressista. Non teme un ritorno di protesta del movimento “Occupy” se non sarà in grado di mantenere le promesse?
«Sono stato un sostenitore della prima ora di Occupy, perché loro per primi hanno puntato il dito sull’immagine delle "Due Città" che si era creata a New York. Io non temo la protesta: cercherò di tenere sempre la porta aperta per accoglierla».
Gli italo-americani hanno risposto al suo messaggio?
E’ troppo presto per dirlo, lo vedremo dall’analisi del voto. Nelle mie soste nei quartieri ancora abitati dagli italo americani ho avuto un’accoglienza positiva, e il mio retaggio mi ha sicuramente favorito. Ma queste caratterizzazioni non hanno molto più senso di fronte ad un elettorato maturo e integrato nel tessuto sociale americano, come è quello dei nostri connazionali. Una cosa sono le mie radici, che coltivo con cura e di cui vado fiero, e un’altra la mia visione della città e delle sue mille componenti etniche».
Sa che a Sant’Agata dei Goti, il paese dei suoi nonni, seguiranno lo spoglio delle schede in diretta?
«Ma come è possibile? Saranno le quattro di mattina! Davvero? Ne sono così felice. Ho una grande nostalgia della famiglia di mio nonno».
Flavio Pompetti