Stefano Bucci, Corriere della Sera 6/11/2013, 6 novembre 2013
IL FUTURO È A MILANO, CAPITALE D’EUROPA
«Oggi Milano, per me, è l’unica vera metropoli del futuro. L’unica dove si incrociano passato, presente e appunto futuro. L’unica dove mi piacerebbe vivere in questo momento. E guardi, non parlo soltanto per l’Italia ma almeno anche per l’Europa». César Pelli, argentino naturalizzato statunitense ma con origini italiane, è uno dei grandi vecchi dell’architettura (è nato nel 1926 a San Miguel de Tucumán, nel Nord Ovest del Paese, e ha appena compiuto 87 anni lo scorso 26 ottobre). O meglio è uno degli ultimi veri maestri del progetto: un maestro dallo stile eclettico senza, però, l’arroganza dell’archistar. Aria da hidalgo, sguardo attento dietro gli occhiali leggeri con la montatura in metallo, Pelli si entusiasma come un ragazzino di fronte a un bella cotoletta alla milanese, sorride compiaciuto davanti ai complimenti, ma non esita nemmeno un attimo a mettere in difficoltà i suoi interlocutori con tre precise domande sulla storia di Milano (quando è stata fondata; di che epoca è il museo Bagatti Valsecchi; quando è iniziata la dinastia degli Sforza). D’altra parte «Milano capitale mondiale dell’architettura», la stessa Milano che si prepara all’Expo 2015, è anche il titolo del ciclo di otto lezioni sulla città promosse dal Politecnico di Milano (per festeggiare i suoi 150 anni) che vedranno tra i protagonisti appunto Pelli (oggi alle 18 nel Salone d’onore della Triennale) e con lui le Grafton Architects che hanno firmato l’ampliamento della Bocconi e un denso gruppo di premi Pritzker: David Chipperfield, Rem Koolhaas, Daniel Libeskind, Renzo Piano, Kazuyo Sejima. Quasi una sorta di augurio per l’architetto argentino più volte nominato per il Nobel della progettazione (nel suo curriculum ci sono già, tra l’altro, dodici lauree ad honorem e oltre duecento tra premi e riconoscimenti vari).
Chiamato dunque a raccontare la propria idea di città, Pelli sceglie senza tanti dubbi proprio Milano come modello: «Per la sua storia ma anche per aver saputo guardare da sempre al futuro, sia che si trattasse di industria o di architettura. E per aver sempre respirato un’aria molto europea». Le sue insidiose domande sulla storia di Milano confermano quella certa idea di progetto da sempre sostenuta da Pelli: un’architettura intesa come «progetto di civiltà, come una sorta di autocoscienza capace di responsabilizzare il progettista ma che deve aiutare gli stessi cittadini a restare collegati con la loro realtà urbana». Un’idea che diventata realtà (ad esempio) nella City Hall di San Bernardino, nel Pacific Designer Center di Los Angeles, nell’Edificio del Banco Républica di Buenos Aires, nella Torre Carnegie Hall di New York, nell’Ambasciata degli Stati Uniti a Tokyo. Ma scusi, non si sente mai un’archistar? «No, guardi che non dimentico mai che la mia passione è nata in un piccolo paesino del Nord dell’Argentina».
E ora a Milano, dove César Pelli (titolare dello studio César Pelli & Associates fondato nel 1977 e poi diventato nel 2005 Pelli Clarke Pelli Architects con sede a New Haven, Connecticut) ha realizzato, per la Hines Italia, la nuova Torre Unicredit che con i suoi 231 metri di altezza e i suoi tre edifici è diventata il più alto grattacielo di Milano e d’Italia, inserito in un più ampio progetto di recupero dell’Area Porta Nuova Garibaldi. Un luogo che, a cominciare dalla piazzetta Gae Aulenti su cui la Torre Unicredit si apre, in pochi mesi (il grattacielo, vetro e acciaio, è stato inaugurato alla fine del 2012) è diventato uno dei «simboli della città» (a quanto pare secondo solo ai panzerotti di Luini). Un simbolo con tanto di guglia citazione della guglia maggiore del Duomo di Milano, vissuto, attraversato a piedi, in bicicletta, chiacchierato. Contento? «Moltissimo perché progettare un nuovo edificio per una città è prima di tutto un atto di grande responsabilità per l’architetto. Non deve essere qualcosa di invasivo, di eccessivo, di predominante rispetto al contesto urbano. Un’architettura, e ancora meno un grattacielo, non può e non deve essere mai solo uno spot. Anche l’Unicredit Tower non avrebbe mai potuto esistere da sola, senza la riqualificazione dell’area intera. Senza, insomma, la gente».
Eppure il suo è anche uno dei tanti vituperati (almeno da certa critica) grattacieli. Nel suo curriculum ci sono le Petronas Towers di Kuala Lumpur, mentre le torri gemelle della Malesia con i loro 452 metri sono diventate il simbolo del boom economico di un intero continente: «A Milano, come a Kuala Lumpur, non ho pensato nemmeno per un secondo a progettare un grattacielo soltanto perché facesse colpo o perché se ne parlasse. L’ho progettato perché, per me e per i miei collaboratori, rappresentava la logica conclusione di un progetto di architettura che doveva prima di tutto ricucire, recuperare, rendere vivibile un’area della città». A questo sono servite anche «certe scelte che abbiamo fatto a proposito dell’ambiente e del risparmio energetico» che hanno permesso al complesso di Porta Nuova Garibaldi, che accoglie l’Unicredit Tower ma anche residenze private e spazi pubblici, di diventare il primo progetto pilota in Italia a ottenere quella certificazione Leed «per la sostenibilità». Ma sarebbe stato impossibile realizzarlo così bene e così visibile «in un’altra città che non fosse stata Milano». Neppure a Londra oppure a Parigi? «No, preferisco Milano». E l’Italia più classica, quella dei tesori d’arte di Firenze, di Roma o di Napoli: «Sono bellissimi gioielli del passato, luoghi da turisti. Il futuro comincia qui».
Il segreto dell’architettura secondo Pelli (un’architettura all’apparenza «semplice» e assai «malleabile» nello stile e nei materiali) sta forse nella lezione del suo maestro, Eero Saarinen: nel suo studio di New York il giovane César era approdato dall’Argentina subito dopo la laurea in architettura all’Università di Tucumán, entrando come project designer nello staff che avrebbe seguito la realizzazione di un capolavoro come il terminale TWA dell’Aeroporto Kennedy. Da lui, Pelli dichiara «di aver imparato la lezione di un’architettura che non deve mai avere uno stile troppo forte, che non deve prevaricare gli altri edifici, ma che piuttosto deve adattarsi al contorno». In questo caso si trattava di un contorno «urbano tutto da recuperare — spiega Manfredi Catella, amministratore delegato di Hines Italia — che ha dovuto confrontarsi con problemi tecnici come dislivelli da affrontare, infrastrutture da inglobare. Una sfida che abbiamo vinto creando una piazza soprelevata che superasse tutte queste differenze. Non so se ci saremmo riusciti con un altro architetto che non fosse stato Pelli. Una piazza che spero possa diventare un simbolo dell’intera Italia, che possa portare ulteriore valore al territorio».
La piazza è sicuramente, come ribadisce Gregg E. Jones, braccio destro (made in Usa) di César Pelli che ha seguito fisicamente la realizzazione del progetto, «uno dei punti chiave della nostra architettura, proprio come le piazze sono sempre state uno dei nodi fondamentali di ogni città, soprattutto di quelle italiane». Tecnicamente si tratta di un’area pedonale di 160 mila metri quadrati che connette i quartieri circostanti e che crea una passeggiata continua da Corso Como al quartiere Isola e dalla Stazione Garibaldi a via Galilei, «un unico piano che consentirà di raggiungere a piedi oppure attraverso cinque chilometri di piste ciclabili ogni quartiere senza dover mai attraversare una strada». Proprio come dovrebbe accadere nelle città «del futuro civile e responsabile» sognate da Pelli, «quelle dove — ribadisce ancora l’architetto argentino — non si pensa tanto a fare spettacolo, ma dove si impara a vivere, a conoscere il nostro passato e guardare avanti». Proprio come nella «sua» Milano: «Sì, proprio come qui».