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 2013  novembre 06 Mercoledì calendario

NELLA CLASSE DEGLI STRANIERI, DIZIONARI URDU E CINESI


DALLA NOSTRA INVIATA BOLOGNA — Il mappamondo per raccontare da dove son venuti, la cartina dell’Italia per scoprire dove si trovano. Eccola l’aula della discordia, subito all’ingresso della scuola media «Besta», periferia di Bologna: per insegnare l’italiano si comincia dalla geografia. Una mappa con lo stivale dietro la cattedra, l’Europa di fronte, il globo a portata di mano, una dozzina di dizionari di urdu e di cinese, il crocefisso staccato dalla parete e appoggiato sull’armadietto, perché ormai di religione non ce n’è soltanto una. Sui banchi Xiao, Dorina, Rose Ann, Kevin hanno scritto in caratteri colorati il proprio nome su pagine di quaderno piegate a triangolo. Decine di fogli a quadretti indicano in stampatello l’oggetto su cui sono attaccati con lo scotch: «la sedia», «la lavagna», «il lavandino», «la finestra», che in questo momento è aperta sul prato di foglie secche del parco «Don Giovanni Bosco, educatore e santo».
L’una è scoccata, e gli alunni della Prima A sono si sono precipitati all’uscita, come si fa a ogni latitudine al suono della campanella, pachistani, ucraini, filippini, addirittura siriani, neanche un italiano. Lo «scandalo» è questo: una classe di soli stranieri, proprio qui a San Donato, quartiere di alloggi popolari con una tradizione d’integrazione nella rossa Bologna.
«Non una classe — corregge con un sorriso il preside Emilio Porcaro —: si tratta di un ambiente di apprendimento e di alfabetizzazione temporaneo». Gli occhi chiari arrossati per la stanchezza, alle cinque del pomeriggio il dirigente scolastico è ancora nel suo ufficio affacciato sulla palestra: «Devo scrivere la relazione...». Il cellulare è scarico, il ministero chiede spiegazioni, i biglietti coi messaggi dei giornalisti si sono accumulati sulla scrivania, i genitori all’ingresso in attesa dei colloqui con gli insegnati non parlano d’altro: «Hai visto il tg?».
Porcaro questo clamore non se l’aspettava: «Sono dispiaciuto». Anche perché le posizioni più forti contro la sua «sperimentazione» sono quelle a lui più vicine, la sinistra vendoliana, una parte del Pd. In città il preside del Besta è considerato un «compagno», e adesso invece è la Lega che l’applaude: «Tutte le scuole seguano questo modello». «Vorrà dire che comincerò a vestirmi di verde», scherza. Ma la sua storia è un’altra. Calabrese di Pianopoli, viene chiamato qui per una sostituzione nel 1997 mentre è a Parigi per un dottorato in Musicologia. «Ho cominciato come insegnante precario», passato di ruolo al Centro territoriale permanente, la scuola di italiano per stranieri. «E pure lì mi sono inventato delle cose». È il suo stile, anche da dirigente: «La fantasia non mi manca».
Quando a luglio sono arrivati da lui i genitori di 15 ragazzini appena «ricongiunti» che non avevano trovato collocazione in altre scuole, ha pensato che quell’aula in più che si ritrovava al pian terreno poteva essere usata per un «ambiente», come dice lui, dedicato a «percorsi individuali finalizzati all’apprendimento dell’italiano e volti all’inserimento». Una sorta di centrale di smistamento, dove i ragazzini prendono confidenza con la lingua e con alcune materie, per essere poi collocati nelle classi «normali». Il collegio docenti continua a sostenerlo. La coordinatrice del progetto, la professoressa Roux, sottolinea che gli alunni della prima A «sono molto vivaci, collaborativi, per nulla frustrati, anche perché hanno molte occasioni di incontro e socializzazione con gli altri compagni»: nulla di simile a un ghetto.
Tutto chiarito allora? «Assolutamente no — ribadisce il presidente del consiglio d’istituto Roberto Panzacchi, che ha sollevato il caso (e a sua volta è un docente) —. Segnale negativo per il territorio: si sta insegnando ai giovani del quartiere che separati è meglio». Eccezione pericolosa, insiste anche Cathy Latorre, capogruppo di Sel in Comune: «Capisco che il preside è in buona fede, ma rischia di scatenare le peggiori proposte creative, di dare la stura a progetti di classi differenziate: l’argine va tenuto».
Retromarcia, allora? «Ce la faremo — tiene la barra il preside —, andremo avanti. I docenti si sono messi in gioco, io devo coltivare questo entusiasmo».