Daniela Berretta, La Stampa - Tutto Scienze Salute 6/11/2013, 6 novembre 2013
“VI RACCONTO LA REALTÀ DA UN ALTRO PUNTO DI VISTA QUELLO DELLE PIANTE”
Cosa «vede», cosa «odora», cosa «prova» una pianta? Daniel Chamovitz, biologo dell’Università di Tel Aviv, sta gettando una nuova luce sull’universo del regno vegetale.
Professore, è vero che le piante posseggono percezioni simili a quelle dell’uomo?
«Io ho cercato di capire come una pianta utilizzi un segnale luminoso per capire quando dispiegare le foglie. La sorpresa è arrivata nel momento in cui ho clonato i geni responsabili del modo con cui risponde alla luce. In origine si pensava che fossero specifici delle piante, ma poi, un giorno, in laboratorio, ho scoperto che questi geni “specifici” sono presenti anche nel genoma umano. Questo mi ha fatto pensare che, se gli esseri umani hanno bisogno dei geni delle piante, allora, forse, la differenza tra piante e animali non è così grande».
Se la vita delle piante è scandita dai movimenti verso la luce, come la vedono davvero?
«La vista, o se vogliamo essere biologicamente corretti, la risposta ai segnali elettromagnetici dello spettro visivo, è altamente sviluppata nelle piante. Questo perché, contrariamente a noi, non hanno la possibilità di muoversi e devono trovare comunque nutrimento, trasformando l’ossido di carbonio in zuccheri. Mentre noi umani siamo sensibili solo a una piccola parte dello spettro elettromagnetico, le piante lo percepiscono tutto».
E gli altri sensi?
«Quando si tratta di olfatto, invece, le piante sono meno sensibili. Noi possiamo percepire migliaia di odori, mentre quelli che sentono le piante si possono contare sulle dita di due mani».
Nel suo libro «Quel che sa una pianta», edito da Raffaello Cortina, lei risale agli esperimenti di Charles Darwin per dimostrare che le piante posseggono specifiche capacità sensoriali. Ma cosa significa esattamente che una pianta «percepisce»?
«Uno degli scopi del libro è presentare la biologia vegetale in modo scientifico. Quando scrivo “Cosa sente una pianta” o “Cosa annusa”, non intendo dire che annusa o sente come noi. Uso una terminologia antropomorfica, ma allo stesso tempo voglio sottolineare che le piante non sono umane e che non posseggono un cervello».
Il suo saggio esce a 40 anni dalla pubblicazione del famoso «La vita segreta delle piante», che tanto ha influenzato l’immaginario collettivo, attribuendo qualità semi-umane proprio al mondo vegetale: una visione che lei confuta.
«Quel saggio uscì negli Anni 70 e, in realtà, non voleva essere considerato un trattato scientifico a tutti gli effetti. Esplora tanti strani studi: sostiene, per esempio, che alle piante piaccia la musica o che rispondano all’umore delle persone. Venivano presentati anche test in cui le piante muoiono, se si fa loro ascoltare musica rock, e ciò - tra l’altro - si sposava bene con chi voleva dimostrare che il rock ’n roll fosse dannoso ai giovani americani. Nessuno di questi esperimenti, però, è mai stato ripetuto in laboratorio. Uno dei miei obiettivi, quindi, era scrivere una versione scientificamente valida».
Lei, invece, lavora ad altri esperimenti: quali sono i suoi progetti?
«Cerco di capire perché le piante producono sostanze chimiche che noi impieghiamo come medicine. Broccoli e cavolfiori, per esempio, hanno proprietà che aiutano a proteggerci contro il cancro. Perché? Abbiamo estratto questa sostanza e l’abbiamo data alle piante di laboratorio per vedere quale fosse l’effetto: una delle conseguenze è che le loro cellule smettono di dividersi e questo è esattamente uno degli effetti che si vuole da un farmaco anti-cancro».
Perché smettono di dividersi?
«Non perché stiano cercando di uccidersi, ma, probabilmente, perché la pianta produce questa sostanza chimica solo quando è sotto stress e, quindi, non vuole crescere durante quello specifico periodo. Le connessioni tra animali e piante sono enormi. E la ragione è che due miliardi di anni fa le une e gli altri si sono evoluti a partire dalle stesse cellule».
I suoi studi hanno anche un obiettivo eminentemente pratico, giusto?
«Quando sono nato, eravamo tre miliardi, mentre oggi siamo sette. Nel 2050 saremo nove. Avremo bisogno di trovare un modo per alimentare sempre più persone con sempre meno spazio a disposizione e meno risorse naturali in un ambiente sempre più caldo. L’unico modo di riuscirci è comprendere come le piante rispondono e reagiscono all’ambiente. Se non capiremo come manipolare la biologia vegetale e non riusciremo ad aumentare la produzione agricola nel prossimo secolo, non avremo abbastanza cibo per nutrire i nostri nipoti. Ecco perché c’è la necessità di puntare sulla biologia vegetale».