Tonia Mastrobuoni, La Stampa 6/11/2013, 6 novembre 2013
“L’AUSTERITÀ È UN’IDEOLOGIA COSÌ L’EUROPA RISCHIA LA FINE”
Angela Merkel ha commesso degli errori terribili, ha accumulato ritardi mostruosi sulla Grecia e sull’Europa, perché è stata troppo a lungo in ascolto dell’umore dei tabloid». Gli occhi enormi, blu ghiaccio di Gerhard Schröder sorridono anche quando lancia granate verbali. E dall’«amatissima» Italia, come sottolinea più volte, deve aver preso l’abitudine poco nordica di sottolineare le frasi più dure con un gesto. Ma l’ex cancelliere socialdemocratico del «nuovo miracolo tedesco» accetta in quest’intervista a tutto campo anche di parlare del suo partito in affanno, del futuro dell’Europa e dei rapporti con gli Stati Uniti.
Schröder, ha sbagliato solo Angela Merkel, nel suo Paese?
«No, anche la discussione sulla politica monetaria è stata completamente sbagliata, così come è sbagliata la posizione della Bundesbank. Mario Draghi ha fatto invece un lavoro straordinario, ha strappato ai mercati il tempo necessario perché i governi facciano le riforme. Ora, però, è tempo che le facciano».
Condivide l’opinione diffusa che l’austerità voluta da Merkel abbia prodotto danni?
«Sono convinto che l’austerità sia il prodotto di una certa ideologia, anche in Merkel. Ed è il motivo per cui sono convinto che le cose cambieranno, d’ora in poi. In alcuni Paesi del Sud Europa i problemi sociali stanno diventando gravi, i tassi di disoccupazione insostenibili. Il rischio è la fine del progetto europeo. Bisogna concedere ai Paesi il tempo per fare le riforme; del resto anche noi le abbiamo fatte dieci anni fa. Soprattutto: non le ha fatte la cancelliera, le abbiamo fatte noi con il governo rosso-verde. Inoltre, se i Paesi si mostrano disponibili alle riforme, per me ha senso anche chiudere un occhio sui limiti del Patto di stabilità».
Qual è il ruolo dell’Italia in Europa?
«Gli sviluppi recenti sono positivi. Sono cominciati con Mario Monti, stanno proseguendo con Enrico Letta. L’Italia, dopo anni di rimozione, sta mettendo i problemi sul tavolo: le pensioni, il lavoro. Da qui a risolverli, certo, ce ne vuole. Ma sono fiducioso».
In un’intervista a «La Stampa», Letta ha espresso il timore che dalle elezioni europee del 2014 scaturisca il Parlamento più euroscettico di sempre.
«Osservando alcuni Paesi, sicuramente la Grecia e la Francia, forse anche l’Italia, il suo timore sembra giustificato. In Germania gli anti-euro non saranno mai un pericolo reale. C’è la consapevolezza che l’euro è un pilastro per la nostra stabilità: siamo un Paese molto orientato all’export».
Il Dipartimento del Tesoro americano sembra meno convinto che il vostro surplus commerciale sia un bene. Almeno, per il resto del mondo.
«Con tutto il rispetto, i dilemmi degli americani mi paiono piuttosto pesanti, a cominciare dalla caotica gestione del bilancio. Ho l’impressione che le critiche siano un diversivo per distrarre il mondo dai loro colossali problemi».
La critica è nata nel contesto delle tensioni esplose sulle due sponde dell’Atlantico per lo scandalo Nsa. Crede che quanto accaduto possa veramente danneggiare i rapporti tra Berlino e Washington?
«Anzitutto non mi sono mai illuso che le mie telefonate non fossero ascoltate. E non sono particolarmente sorpreso delle rivelazioni sullo spionaggio in Europa. Ciò non toglie che sia uno scandalo inaccettabile. Ma, vede, i popoli non hanno amici, ma interessi, come diceva Bismarck. E nel difendere i propri, gli americani sono imbattibili».
Pensa che influenzerà - o debba influenzare - i negoziati sull’accordo transatlantico sul commercio?
«Penso che prima di aver raggiunto un impegno a non spiarsi reciprocamente, sia saggio non proseguire con i colloqui. Sarebbe giusto congelare il negoziato sul commercio finché non si sarà raggiunto un accordo sullo spionaggio».
Nella sua autobiografia lei sostiene che c’è un nesso tra la sua opposizione alla guerra in Iraq e le riforme del welfare dell’Agenda 2010 che promosse in quegli anni.
«Hanno a che fare entrambi con gli interessi del Paese. Le riforme dovevano servire a rafforzarci: un’economia robusta rende autorevoli. E viceversa, anche mostrandoci fermi sull’Iraq, siamo stati presi sul serio».
Della «sua» Agenda 2010 sembra aver approfittato soprattutto Merkel, da quando l’ha sostituita alla guida del Paese. È da allora che la Germania ha cominciato a correre. Non le provoca qualche amarezza, questo fatto?
«Quando si concepisce una riforma del genere, non ci si pone il problema del dividendo elettorale. La domanda è solo: è necessaria? Nelle nostre società la politica ha un problema: c’è sempre un divario temporale tra le riforme e i risultati. Ed è in questo “buco” che un politico può cadere. Io ho corso consapevolmente il rischio di non essere rieletto. Se poi altri approfittano delle mie riforme, non posso certo rimpiangere di averle fatte».
A distanza di anni tutti sembrano aver capito o approfittato dei benefici di quelle riforme. Ad eccezione del suo partito, la Spd.
«La caratteristica di un partito socialdemocratico è che punta sempre a migliorare l’esistente, a non essere soddisfatto. È questo il senso di un partito che si definisce progressista».