Alessandro Merli, Il Sole 24 Ore 5/11/2013, 5 novembre 2013
GUERRA SUL SALARIO MINIMO TEDESCO
FRANCOFORTE. Si va verso l’accordo in Germania, nella trattativa per formare il prossimo Governo di grande coalizione, sull’introduzione del salario minimo obbligatorio per legge a 8,50 euro: una condizione posta dai socialdemocratici per entrare nella maggioranza guidata da Angela Merkel, ma anche una scelta che, secondo molti economisti tedeschi, potrebbe rivelarsi controproducente, portando alla distruzione di posti di lavoro. Addirittura un milione, secondo la stima più pessismistica avanzata dalla Deutsche Bank. Una decisione, che, contrariamente a quello che si potrebbe pensare, finirebbe per avere conseguenze negative anche sul resto dell’area euro, secondo altre analisi.
Il salario minimo è stato un argomento molto dibattuto nella campagna per le elezioni del 22 settembre. La Spd ha chiesto che venga fissato su scala nazionale, e reso obbligatorio per legge, a 8,50 euro e che vengano introdotto limitazioni all’uso del lavoro temporaneo. I democristiani della Cdu/Csu del cancelliere Merkel hanno sostenuto invece soglie minime fissate per settore e per regione per integrare gli accordi fra le parti sociali; sostanzialmente, una modifica del regime attuale.
Il risultato delle elezioni, nelle quali la Cdu/Csu ha mancato per soli 5 seggi la maggioranza assoluta in Parlamento, ha offerto alla Spd la chance per fare del salario minimo una condizione della sua partecipazione al Governo. Le aperture già ottenute su questo punto (con l’esclusione invece dell’aumento delle aliquote per le imposte sui redditi più alti) rendono probabile un accordo su linee molto vicine alla proposta socialdemocratica: le modalità restano da stabilire e potrebbero prevedere un’introduzione graduale nel tempo e un compromesso sull’affidamento della fissazione del salario minimo a una commissione imprese/sindacati. Il buon andamento del mercato del lavoro, dove la disoccupazione è ai minimi storici del 5,2%, rende più facili concessioni su questo punto.
Le imprese hanno già protestato ripetutamente che si tratterebbe di una mossa che ne danneggerebbe la competitività. Molti economisti ne sostengono le ragioni. Secondo uno studio della think-tank di Berlino Diw, il 17% dei lavoratori dipendenti (oltre 6 milioni di persone) riceve oggi un salario inferiore a 8,50 euro. La percentuale è del 15% in Germania Ovest e del 27% nei länder dell’Est. L’effetto dell’aumento che verrebbe concesso loro sarebbe particolarmente pesante, secondo la Diw, sulle microimprese del settore dei servizi, per le quali il costo del lavoro crescerebbe del 10 per cento. Più limitato l’impatto sulle grandi imprese del settore manifatturiero maggiormente orientate all’export, dove l’aumento del costo del lavoro sarebbe in media del 2 per cento. Indirettamente, secondo Stefan Schneider, di Deutsche Bank, anche queste potrebbero subire un contraccolpo indiretto, attraverso l’aumento del costo dei servizi. Inoltre, sostiene Schneider, i possibili ritocchi annuali del salario minimo potrebbero servire da punto di riferimento per i contratti collettivi di lavoro e quindi portare ad aumenti salariali anche a livelli più alti.
Lo studio di Deutsche Bank ritiene che, introducendo un salario minimo di 8,50 euro, che rappresenterebbe il 58% del salario mediano dei lavoratori a tempo pieno (una percentuale inferiore solo alla Francia), si finirebbe per causare una perdita di posti di lavoro, fra 450mila e un milione. I gruppi di lavoratori più a rischio sarebbero quelli meno qualificati, gli immigranti e le lavoratrici madri, che faticherebbero a trovare posti a tempo pieno. Si aggraverebbe inoltre la disparità fra Ovest ed Est, una possibile conseguenza sottolineata dai quattro maggiori istituti di ricerca tedeschi già il mese scorso.
«Un salario minimo troppo alto - scrive Thomas Harjes, di Barclays, in una nota - metterebbe fine al miracolo tedesco dell’occupazione, che ha ridotto in modo significativo la disoccupazione strutturale nell’ultimo decennio». Secondo Andreas Rees, di Unicredit, l’introduzione di limiti al lavoro part-time, in un Paese che ha già leggi di protezione del lavoro fra le più restrittive, indebolirebbe la competitività dell’industria tedesca, ma senza beneficiare il resto dell’Eurozona: penalizzerebbe anzi i loro export verso la Germania, che importa (in particolare da Francia e Italia) soprattutto beni intermedi.