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 2013  novembre 05 Martedì calendario

BISOGNA ABOLIRE ANCHE LE REGIONI


La voce è quella nervosa di sempre. Che tradisce l’origine calabra ma che ormai risente dei tanti anni milanesi e del lavorare continuamente all’Estero in un mondo, la moda, in cui l’inglese è la lingua franca. Ma con Santo Versace, reggino, classe 1944, a capo della Gianni Versace spa, è piacevole parlare anche di politica, e non solo per la aspra legislatura pidiellina che ha alle spalle, ma perché l’uomo ama il suo Paese e lo vorrebbe vedere in acque migliori.
Domanda. Versace, partiamo dal punto in cui si trova l’Italia. Come ci vede?
Risposta. Facciamo una premessa. L’Italia non manca di niente: creatività, capacità di innovare, paesaggio, cultura, siamo il Paese in cui tutti voglio venire. Il grosso problema è la classe politica.
D. Addirittura!
R. Sì, non c’è destra, sinistra o centro che tengano: arraffano tutti. E i problemi che vediamo, le inchieste, le cose che emergono sono solo la punta dell’iceberg. Dentro qualsiasi istituzione, dal Quirinale alla struttura più piccola, basterà fare un accertamento per trovare qualche furbizia o qualche malversazione. Questa non è più fisiologia del potere ma patologia conclamata. Guardi, l’Italia si divide in tre fasce...
D. Vale a dire?
R. Ci sono i produttori, quelli che realmente lavorano. Sono quelli delle aziende vere che si confrontano col mercato ma sono anche i tanti lavoratori, dipendenti e autonomi, che tirano la carretta ogni giorno e si impegnano nelle cose che fanno. Poi ci sono i «prenditori»...
D. Gli imprenditori?
R. No, ho detto proprio i «prenditori», vale a dire quella categoria di aziende che hanno pensato bene di mettersi al lavorare col pubblico, magari nel settore della sanità, insomma un mondo di lobby e di privilegio. E infatti, voi giornalisti, ogni tanto sbagliate, perché mettete assieme qualche imprenditore vero a qualche «prenditore»: non fate un bel servizio ai lettori.
D. Faccio ammenda per la categoria, ma la terza fascia da chi è composta?
R. Dai profittatori, vale a dire quel milione di persone che campa di politica, che hanno redditi alti e bassa produttività, anzi che spesso distruggono ricchezza.
D. I buoni sono i produttori, dunque.
R. Sono gli eroi moderni. Nel caso degli imprenditori, lavorano sotto un’oppressione fiscale che varia dal 68 al 100% e che, in settori come il nostro, specialmente se aziende quotate, rispettano la legge al 101%. Poi magari il fisco eccepisce che spendiamo troppo in comunicazione e pubblicità, come se non dovessimo investire in queste attività che sono per noi essenziali. Il tutto mentre, secondo la Corte dei Conti, ogni anno 60 mld di danaro pubblico se ne vanno in corruzione e, se si aggiungono sperperi e malagestione, si sale a 100.
D. Quindi lei è pessimista...
R. No, perché agli altri paesi, ai tedeschi, agli inglesi, ai francesi, abbiamo da invidiare solo la classe politica, perché, come imprese, riusciamo a fare profitti in queste condizioni, cioè con una giustizia che non funziona e con una difficoltà amministrativa per il lavoro che i nostri competitor non conoscono.
D. Sento pulsioni grilline, caro Versace...
R. Guardi Grillo lo dobbiamo ringraziare. Avrà tanti torti ma le cose che denuncia sono vere, per questo è stato votato da un italiano su 4. Come facemmo noi quando, nel 1993, a Milano, al ballottaggio, votammo Marco Formentini sindaco. Della Lega non mi fregava niente, personalmente non ho mai condiviso l’80% delle loro idee, ma volevamo mandare a casa una classe politica. La verità...
D. La verità?
R. È che Grillo non è in grado di trovare le soluzioni, sbaglia su temi come l’Alta velocità e commette errori nello scegliere i suoi.
D. Lascia scegliere alla rete, dice lui.
R. Sbaglia! La politica deve essere un punto di arrivo, non di partenza. Doveva fare dei comitati con persone competenti, che avessero dimostrato nella vita di aver fatto qualcosa di positivo, gente di cultura, onesta che amasse il Paese.
D. Torniamo alle invettive di Versace contro la classe politica. Lei è stato in Parlamento e in un partito che governava, come la mettiamo?
R. Ci sono stato per 3 anni e non ho mai rinunciato una sola volta a dire quello che pensavo. A maggio del 2010 scrissi su il Giornale che rischiavamo di fare la fine della Grecia. Ho detto fino allo sfinimento che dovevamo tagliare la spesa pubblica e ridurre i costi della politica. Un volta feci restare di sale Augusto Minzolini, che mi intervistava, chiedendomi cosa pensassi del Parlamento dopo pochi mesi di legislatura e gli risposi che andava raso al suolo, come Hiroshima e Nagasaki.
D. Come la convinsero a candidarsi?
R. Mi chiamarono Sandro Bondi, Roberto Formigoni, mi chiamò ovviamente Silvio Berlusconi. Ma feci comodo: capolista in Calabria, il nome dei Versace servì a dimenticare performance non proprio brillanti della politica locale.
D. Senta e del Cavaliere, oggi, che pensa?
R. Che va condannato politicamente, per come ha governato i questi anni e cioè malissimo, facendo lievitare la spesa pubblica e il debito. Ma la sinistra è corresponsabile.
D. In che senso?
R. Oltre gli anni di governo, negli ultimi 40 ha gestito a lungo e in larga parte il potere negli enti locali. Una gestione spaventosa, coi sindacati complici. Vorrei ricordare che Filippo Penati, presidente da presidente della Provincia di Milano, si indebitò con le banche per oltre 200 milioni per comprare le azioni della Gavio, aldilà degli aspetti penali, questo è politicamente uno scandalo. Uno che poi è stato chiamato a capo della segreteria di Pier Luigi Bersani.
D. Cos’altro non le piace della sinistra?
R. Son quelli che dicono: «Non tocchiamo la sanità». Ma è criminale! La sanità va ridisegnata, razionalizzata, resa efficiente. I costi standard ci mostrano che c’è una spesa in più, fra i 15 ai i 20 miliardi. Come se estrarre un’appendice o mettere una protesi o un peacemaker possa costare il quadruplo o il quintuplo, da una parte all’altra del Paese. Sono soldi buttati, spesso rubati. E poi è la sinistra del Monte dei Paschi...
D. Vale a dire?
R. Insomma era la più antica banca del mondo, florida, che valeva 20 mld, e l’hanno distrutta. E quello che hanno fatto col Mps, l’han fatto col parastato, con gli enti locali, con le istituzioni che hanno governato. Semmai su Mps ci sarebbe da chiedersi una cosa.
D. Che cosa?
R. Perché si usi il bisturi, la precisione millimetrica. Se è giusto processare Silvio Berlusconi, perché col Mps si usano i guanti bianchi?
D. Torniamo all’Italia, Versace. Secondo lei da quale parte si dovrebbe cominciare?
R. Da alcuni punti irrinunciabili. Per esempio abolendo le Regioni.
D. Ma come, non riusciamo ad abolire le Province?
R. Lo dissi in aula quando si discuteva del debito della Sicilia. E si stavano facendo un sacco di chiacchiere a vuoto, menando il can per l’aia, come si dice. Presi la parola e ricordai che, prima del 1970, prima cioè della creazione delle Regioni, il debito stava al 40,5% del Pil e ora era stabilmente arrivato sopra il 100. Dissi che le Regioni erano «organizzazioni criminali di stampo politico». Scese il gelo, ma nessun osò contraddirmi. Le Regioni, mi creda, servono solo a dilapidare. Ne abbiamo alcune popolose come città, come la Valle d’Aosta o il Molise, ma scherziamo? Oggi si potrebbe passare dal Parlamento, di cui va abolito l’inutile Senato, ai Comuni, ovviamente accorpati fino a soglie accettabili. Poi la giustizia...
D. E qui la voglio...
R. Via Tar e Consiglio di Stato: la giustizia sia penale o civile. Accorpando i tribunali, come sostenevo da tempo. E usiamo l’informatica: dopo la prima notifica, sia tutto elettronico. La gestione dei processi va cambiata: i detenuti partecipino ai processi dal carcere, collegati tramite videoconferenza, risparmieremmo cifre astronomiche. I giudici, finché non si smaltisce questo mostruoso arretrato, lavorino anche il sabato e la domenica, a far fuori procedimenti. E poi semplificazione, vivaddio. I modelli ci sono, come la Gran Bretagna. Copiamoli!
D. Facciamo un esempio di semplificazione?
R. Il divorzio: ma le pare possibile che, in assenza di figli minori, si debba aspettare 3 anni per divorziare? È un sistema che giova agli avvocati, probabilmente.
D. E la scuola, Versace, non sarebbe da riprendere in mano?
R. Non solo quella, ci vuole un investimento in formazione permanente. La cassa integrazione, gli ammortizzatore sociali devono diventare investimenti formativi: il lavoratore in cassa o in mobilità deve seguire dei corsi, formarsi, aggiornarsi, in modo da poter ricominciare magari in un altro settore. Nella scuola bisogna ricostruire le nostre professionali, frequentate dal 23-24% degli alunni, contro il 70% dei tedeschi.
D. Ma le famiglie, prima che gli studenti, non ci sentono...
R. Abbiamo insegnato a desiderare il posto e non il lavoro. E il lavoro manuale viene disprezzato. Ma il made in Italy di Ferragamo e di mio fratello Gianni era soprattutto grandissima manualità. Basta entrare in uno dei tanti nostri meravigliosi musei, per godere della bellezza che altri lavoratori manuali hanno saputo produrre.
D. Perché siamo arrivati a questo punto?
R. Ci muoviamo fra le macerie del ’68: pur affermando alcuni diritti sacrosanti, quella rivoluzione ha abolito il merito e distrutto la scuola, soprattutto quella professionale.
D. Molte delle cose che lei sostiene, le va dicendo anche Renzi. Che ne pensa?
R. Sono intervenuto a Verona, giorni fa, a un incontro di Confindustria, dov’era anche lui. Ho parlato, anche lì, della necessità di abolire il senato e poi me ne sono dovuto andare, per un impegno di lavoro. So che dopo, intervenendo, ha ripreso questo concetto. Recentemente poi ho letto che parla di tagliare la spesa pubblica e di ridurre le tasse. Sono segnali interessanti: se riesce davvero a rottamare, a mandarli tutti a casa, starò dalla sua.
D. Oltretutto Renzi è l’unico che rende omaggio alla moda, attirandosi le critiche a sinistra perché va alle sfilate.
R. Chi lo critica è un ignorante. Altrove il valore della moda lo capiscono. Nel 1991 partecipai alla premiazione dello stilista Guy La Roche, al municipio Parigi, qualche anno prima che morisse. Intervenne Bernadette Chirac, moglie di Jacques che era sindaco, dicendo che La Roche aveva fatto della moda francese un drapeau. Ma, aspetti, gliela leggo.
D. Prego...
R. Ecco. «La moda francese viene considerata da tutte le istituzioni e dalla stampa francesi come il simbolo più importante del nostro Paese e tutti siamo impegnati perché questa bandiera garrisca sempre più in alto». Capisce? Una bandiera, un fatto culturale, un simbolo di innovazione e creatività. E poi dove c’è moda, c’è libertà. Altrove ci sono le divise.
D. Chiudiamo questa intervista con una buona notizia, la prego.
R. Eccola. La Versace a dicembre 2011 aveva 1.287 diretti, l’anno dopo 1.524. La notizia è che alla fine del 2013, saranno 1.745. Solo 700 sono, purtroppo, in Italia, ma cresciamo, malgrado questa crisi terribile.