Chiara Paolin, Il Fatto Quotidiano 5/11/2013, 5 novembre 2013
NON SI PUÒ COLTIVARE NELLA TERRA DEI FUOCHI
Domani mattina l’Agenzia Regionale per l’Ambiente della Campania (Arpac) manderà i suoi uomini migliori a vedere che c’è nei campi tra Li-cola e il lago di Lucrino, a nord di Napoli. Nel 1997 Carmine Schiavone aveva lanciato il suo anatema: “Con tutto quello che ci abbiamo buttato, tra 20 anni qua saranno tutti morti di tumore”. In effetti lì i morti per cancro sono il triplo che nel resto d’Italia, mentre nei campi continuano a crescere pomodori e zucchine vendute sul mercato a prezzi imbattibili: 8 centesimi al chilo.
É stato il sindaco di Pozzuoli a chiamare l’Arpac tra quelle discariche a cielo aperto, quegli orti da cui spuntano fusti tossici e fumi maleodoranti: stare al centro della Terra dei fuochi e vedersi ogni giorno accusati di non tutelare la sicurezza dei cittadini è diventato un lavoro a tempo pieno, una lotta contro la criminalità che si mangia tutto, con le istituzioni che rincorrono l’emergenza senza acchiapparla mai.
L’ARPAC DOVREBBE fare miracoli per assolvere al suo compito, cioè monitorare aria, terra, acqua e prodotti alimentari per garantirne la salubrità. Chi cerca un contatto con l’ente regionale ha vita dura: il centralino rimpalla l’utente nel labirinto del sistema automatico, il numero dell’ufficio stampa risulta inesistente, idem per i responsabili dell’“Area analitica” e dell’“Area territoriale” di Napoli. L’unico a rispondere è un amministrativo solerte: “Guardi, qua chiudiamo alle tre, e adesso sono le cinque: non posso passarle nessuno”.
Michele Buonomo, presidente di Legambiente Campania, scuote la testa: “I campionamenti di routine non bastano in un’area massacrata come quella. L’Arpac doveva organizzare verifiche sistematiche e valutare nell’insieme un ambiente che richiede misure straordinarie: correre quando arriva la segnalazione dei Carabinieri è troppo poco. Comunque il danno è fatto, ora bisogna subito mettere in sicurezza l’area con un divieto assoluto di produzione in tutto il territorio per cui è certa la contaminazione”.
Ottocento, forse mille ettari compresi tra Napoli, Nola e Caserta: il triangolo della morte che diventa un marchio di origine negativa. “Un danno grosso per chi, in altre aree della Campania, ha lavorato bene in questi anni - prosegue Buonomo -. Abbiamo fatto una fatica tremenda per convincere la gente a coltivare in modo sano, a mollare i pesticidi e gli antibiotici: ora rischiamo di perdere tutto, perché qualsiasi prodotto campano diventa veleno sul mercato nazionale e internazionale”.
Difficile spiegare al consumatore la differenza tra quei tre milioni di metri cubi di terra malata censiti da tutte le mappe sul disastro ambientale e il “Latte nobile dell’Appennino Campano” che fa impallidire gli svizzeri, o l’Aglianico biologico che matura nel Parco del Cilento guadagnandosi i Tre Bicchieri del Gambero Rosso.
DIFFICILE SE la cronaca racconta che negli ultimi mesi sono andate al macero tonnellate di frutta e verdura cariche di cadmio, piombo e arsenico. É il generale della Forestale, Sergio Costa, a confermare che la situazione diventa insostenibile quando cammini per servizio tra i filari di cavolfiori da sequestrare e vedi la tua divisa perdere consistenza, il tessuto smagliato, le cuciture molli a causa degli afrori acidi che salgono dal suolo.
“Mi è dispiaciuto buttare la divisa” ha commentato il generale Costa. La paura di chi consuma è invece che l’industria alimentare scelga quei prodotti, venduti ai grossisti praticamente a prezzo di costo. “Sono per la massima trasparenza, è bene che tutti sappiano cosa sta accadendo - ha commentato il governatore campano, Stefano Caldoro -. Però i prodotti della Campania sono super controllati, lo sono più di altri proprio per le vicende del passato”.
Agli uomini Arpac l’ardua sentenza.