Fabrizio Melis, Libero 5/11/2013, 5 novembre 2013
POMÌ FA LA PASSATA A KM ZERO MA AL SUD GRIDANO AL RAZZISMO
Il giorno in cui usciranno le carte che dimostrano incontrovertibilmente che Kennedy è stato ucciso da un’operazione congiunta di esuli cubani, servizi deviati e mafia italoamericana, i complottisti inizieranno a dire che è stato un tizio col fucile che ha fatto tutto da solo. Allo stesso modo, quando una grande azienda darà retta ai settori più progrediti dell’opinione pubblica e ad abbraccerà, come pressantemente richiesto da anni, la sciccosissima filosofia del chilometro zero e della filiera corta, i settori più progrediti dell’opinione pubblica inizieranno a stracciarsi le vesti gridando al separatismo agricolo e al razzismo della pummarola.
Se il primo assunto attende ancora verifica (forse per poco, ché il cinquantenario dell’omicidio di JFK con relativa desecretazione dei documenti è dietro l’angolo), il secondo è però stato clamorosamente confermato. La vicenda in questione vede protagonista la Pomì, colosso del settore pomodoro, e spiega meglio di mille saggi come funzioni la psicologia delle masse e come, più in generale, l’opinione pubblica abbia in media la lucidità e la maturità di un bambino di sei anni.
I fatti: inaugurata l’era del chilometro zero, l’azienda ne offre comunicazione approntando una campagna pubblicitaria nella quale si dà conto della novità: «Utilizziamo solo pomodori freschi dei soci del Consorzio Casalasco, coltivati nel cuore della Pianura Padana, a una distanza media inferiore ai 50 km dagli stabilimenti di confezionamento». Tutto in regola con le più avanzate teorie in materia di agricoltura sostenibile e consumo responsabile: basta col prodotto che viaggia per mezza Italia (costando ed inquinando) e avanti col nuovo corso che rispetta la natura e premia il territorio.
E invece apriti cielo: poche ore e contro Pomì parte una crociata di indignazione senza precedenti. Camionisti che temono di perdere il lavoro? Latifondisti inconsolabili? Tifosi dell’inquinamento? No, meridionali. Gli stabilimenti della Pomì, infatti, hanno il problema di trovarsi sul confine tra Lombardia ed Emilia. Ne consegue che il pomodoro a chilometro zero tanto distante dal confine tra Lombardia ed Emilia non potrà non originare. Constatazione banalotta, e che però non impedisce che si gridi al complotto anti-meridionalista. Anzi, anti-campano. Troppo lampante per i contestatori il nesso tra la scelta della Pomì e le recenti notizie circa i rifiuti tossici finiti nel sottosuolo della Campania: che l’azienda abbia attuato il boicottaggio della Terra dei fuochi è opinione graniticamente diffusa, e che da nessuna parte della pubblicità incriminata si faccia cenno alcuno alla Campania è un dettaglio evidentemente trascurabile. Il fronte anti-Pomì dispone dunque di una notevole potenza di fuoco: quotidiani («Pubblicità shock»,grida il Mattino di Napoli), politici della zona (adesioni rigorosamente bipartisan, ché sulle cose serie gli steccati dell’ideologia cadono che è una bellezza), indignati da tastiera in servizio permanente ed effettivo. Tutti a invocare il boicottaggio della pummarola padana.
La cosa bella è che, a chiedere un parere sulla filosofia del chilometro zero a quanti pure si stracciano le vesti per la Pomì, si otterrebbero quasi solo risposte entusiaste: poche cose al mondo ultimamente vanno di moda come certi ecologismi prêt-à-porter, e trovare qualcuno disposto a difendere il vecchio modello archeoindustriale a base di trasporto su gomma e filiera lunga è praticamente impossibile. Tutti convinti assertori del chilometro zero, però solo fino a che qualcuno non lo attua per davvero. A quel punto, dell’agricoltura sostenibile non importerà più niente a nessuno e il problema diventerà il Sud negletto e sabotato. Vatti a fidare dell’opinione pubblica.