Giuseppe Pollicelli, Libero 5/11/2013, 5 novembre 2013
IL TEST INNOCENZI: ERRORI E FRASI FATTE
La notizia della bocciatura di Giulia Innocenzi (giovane collaboratrice di Michele Santoro e, ormai, volto noto della tv italiana) all’esame per diventare giornalista professionista ci aveva lasciati sostanzialmente indifferenti. Non ci era neppure passata per la testa l’idea di schierarci con una delle due fazioni a cui l’evento ha dato origine, quella di chi, tramite Internet, ha infierito sulla ragazza e quella dei difensori d’ufficio, i quali hanno colto la palla al balzo per dir male di un ente, l’Ordine dei giornalisti, che non ha mai riscosso troppe simpatie. Poi, nella giornata di ieri, è accaduto che la Innocenzi abbia messo on line, per mezzo del suo profilo Facebook, sia il testo della prova scritta da lei sostenuta sia le valutazioni formulate dalla commissione. Ed è stato un po’ come se un condannato per omicidio che fino al momento prima si protestava innocente avesse inopinatamente fornito al mondo intero le prove inconfutabili della propria colpevolezza. Già, perché gli elaborati prodotti da Giulia sono obiettivamente indifendibili e, ci si creda, lo asseriamo con il massimo distacco possibile, come se ci avessero chiesto un parere intorno al compito di un anonimo. I giudizi contenuti nella «valutazione complessiva finale» sono così drasticamente negativi da autorizzare, in prima battuta, il sospetto che possano in effetti essere il frutto di accanimento, invidia o antipatia personale. Li riportiamo tutti e tre. Quello sulla sintesi è il seguente: «Esposizione sciatta e a tratti scorretta ». Quello relativo all’articolo recita: «Sciatta l’esposizione, linguaggio inappropriato ed errore di sintassi ». Infine quello concernente il questionario: «Risposte nel complesso superficiali e approssimative, senza alcuno sforzo di approfondimento ». Apprezzamenti tanto sferzanti, dicevamo, da far temere un pregiudizio verso la candidata. Ma ogni timore di tal genere viene subitaneamente fugato dalla lettura degli elaborati della Innocenzi, circa il cui modo di scrivere si potrebbe dire (non sappiamo se a parziale discolpa o come aggravante) che è uno stile giornalistico di fatto inedito: lo «stile telegramma». Le frasi concepite da Giulia Innocenzi, difatti, possiedono la sincopata lapidarietà di quelle che uno detta al telefono per inviare auguri o condoglianze. Un esempio: «È di una settimana fa il messaggio del presidente della Repubblica alle Camere per chiedere di rispondere con urgenza al problema delle carceri. È la prima volta che Napolitano si avvale dello strumento previsto dalla Costituzione e lo fa dopo aver visitato il carcere di Poggioreale. Napolitano ha ricordato che l’Italia detiene il triste primato europeo sul sovraffollamento carcerario». Ma questo è davvero il meno. Giulia mostra un amore viscerale nei riguardi delle frasi fatte, cui ricorre con inquietante frequenza. E a volte, forse, se ne stanca pure lei, tanto da decidere di stravolgerle dando così vita a irresistibili effetti comici. Come quando si occupa di Matteo Renzi, il quale, secondo la Innocenzi, è stato accusato di voler «solleticare la pancia dell’elettorato». Una roba da ridere, appunto. Increscioso anche l’errore di sintassi, non a caso sottolineato in blu dalla commissione, contenuto nel periodo «Immediate le critiche da parte dei ministri Zanonato, Lupi e Bonino. A cui hanno fatto seguito quelle dei dirigenti del Pd…», con quel pronome relativo piazzato subito dopo un punto fermo. I passaggi più imbarazzanti, tuttavia, sono quelli in cui l’aspirante giornalista professionista tenta la strada della rievocazione storica. «Sono trascorsi settant’anni dal rastrellamento nazista del ghetto di Roma, ma Lello Di Segni, l’unico sopravvissuto ancora in vita insieme a Enzo Camerino, ricorda ogni attimo con memoria vivida». È convinzione di Giulia Innocenzi, evidentemente, che a meritare l’attributo di «vivido» non debbano essere i ricordi bensì direttamente la memoria. Ma andiamo avanti: «La mattina del 16 ottobre 1943 irruppero alla sua porta le SS con i mitra in mano…». Erano dei mitra molto piccoli, si vede, quelli imbracciati dalle SS, se potevano essere tenuti in mano alla stregua di una rivoltella. E come non restare colpiti, poi, dall’irrompere delle milizie naziste non nell’abitazione di Di Segni ma «alla sua porta»? L’elenco di brutture potrebbe proseguire a lungo ma lo spazio è terminato. E, del resto, si è ben capito come stiano le cose. Noi comprendiamo il dispiacere della Innocenzi per l’esito infelice della sua prova ma, visto che vive da molti anni a Roma, Giulia non faticherà a comprendere l’esortazione che le stiamo per fare. Ovvero: a Giulie’, stacce! E questo non è un errore di grammatica.