Gabriele Romagnoli, la Repubblica 5/11/2013, 5 novembre 2013
DA SOLO CONTRO TUTTI IL CALCIO IMPOSSIBILE DELL’ESTREMISTA CERCI
E dunque: ha ferito l’avversario invulnerabile infliggendogli il gol del pareggio. Ma anche: ne ha impegnato l’estremo difensore da lontano e su punizione. Ha servito i compagni, rincorso i nemici. Si è esaltato nella vendetta verso chi non ha riconosciuto in lui le sembianze del figliolo e, invece di allevarlo, lo ha spedito altrove. Se però si vuol capire la natura di Alessio Cerci è a un altro momento della sfida Torino-Roma che bisogna guardare. Accade verso la fine del primo tempo. La Roma vince uno a zero e tiene il campo. Cerci le ha già provate tutte. D’altronde lo schema del suo allenatore prevede che, sbrigati alcuni convenevoli, la palla venga smistata nella fascia che lui presidia e, da lì in poi, son fatti suoi.
Cerci sta a destra. Perché da lì può convergere e tirare. È un’ala classica. La specie sembrava in via di estinzione, poi con l’eurovisione ci si è accorti che preservarla è saggio. Il Bayern vola con Ribery e Robben. Il Real Madrid punta su Bale, non accorgendosi di avere in casa Callejon. E in Italia la Roma di Garcia andava a un’altra velocità quando a spingere sulla fascia c’era Gervinho, invece del “finto siete” o “finto onze” di turno. Al Torino le ali vere trovano una casa e una tradizione: Meroni e Sala, va da sé, ma anche il primo Lentini e il giovin Mondonico. Cerci a Roma fu ripudiato dall’allenatore, a Firenze da un’intera città: inevitabile che finisse nel rifugio degli “estremisti”. Ventura l’aveva già accolto nel primo esilio, a Pisa. Stavolta gli ha consegnato le chiavi di casa ed è uscito, su una panchina a guardare che cosa succedeva. La curva granata l’ha adottato perché ha riconosciuto, più che un dna, un riflesso. È tornato quello che, su un lato, riceve palla, si ingobbisce e parte. Salta un uomo, forse due, la mette in mezzo. Ecco, il problema di Cerci è stato questo: metterla in mezzo. Claudio Sala ci trovava Pulici o Graziani. Cerci ci trova un Bellomo Immobile, alla lettera. O Larrondo, e siamo lì. Ragion per cui si accentra, la passa a se stesso e così facendo ha già segnato sette volte in undici partite. Più tre assist. Togli Cerci e hai tolto il Torino.
Verso la fine del primo tempo, allora. Gli arriva uno di quei palloni secondo schema: prendi e porta su tu. Guarda al centro e vede: nessuno. Non nel senso che ci sono le consuete punte, ma che non c’è proprio nessuno dei suoi. In compenso: cinque romanisti, quasi allineati. Ha un attimo per decidere. Un altro darebbe palla indietro e il telecronista direbbe: sta facendo salire la squadra. O punterebbe il fondo, seguito da due avversari, e gliela tirerebbe addosso, sperando di conquistare il corner. A Cerci invece scatta l’esuberante complesso di Perseo: solo contro tutti e felice di esserlo. Si riconosce nell’eroe abbandonato dagli avi, accolto alla deriva e incaricato di una missione impossibile: tagliare la testa dell’invitta Medusa. Ma è altresì convinto di possedere calzari alati e un manto che lo renda invisibile alle schiere nemiche. Il calcio o è epica festiva o è un lunedì trascorso a far l’esegesi di Barbara Berlusconi. Chiunque ami la vita non può che infilarsi nella prima porta e fare il trenino dietro Perseo Cerci. Come quello dei protagonisti de “La Grande bellezza” ha un pregio: non va da nessuna parte. La sua è un’azione senza futuro, ma rifulge nel presente perché è unica, scriteriata e improbabile. Cerci va per linee orizzontali, salta i difensori senza guadagnare spazio, soltanto tempo. È come se avesse girato di centottanta gradi il campo e continuasse comunque ad avanzare. È il brivido della manovra impossibile: al passaggio successivo c’è Denzel Washington ai comandi in “Flight”, quando pilota l’aereo rovesciato. Dopo due dribbling riusciti la palla è così attaccata ai piedi di Cerci che non si muove più e pure lui ci rotola sopra, ma non si stacca, continua a controllarla davanti al muro romanista che si sgretola e si ricompatta, come solo nelle fantasie degli scontri epici accade: indumenti magici perdono i loro poteri, eroi invincibili rivelano debolezze nascoste, il cielo si squarcia e arriva in soccorso un compagno che discende da mortali lombi e fa pertanto cose comuni. Cerci, accerchiato, scarica su El Kaddouri e quello tira come può: tra le mani di De Sanctis. L’impresa è soltanto rimandata: al secondo tempo. Sarà un altro (Meggiorini) a fare l’ala e sarà Cerci a fare la punta che non c’è. Perseo conquisterà la testa della Medusa. Poi, siccome anche l’epica fa concessioni al ridicolo, l’eroe si mostra contenendone i tentacoli con un cerchietto.