Tommaso Ciriaco, la Repubblica 5/11/2013, 5 novembre 2013
“ERO PRONTO A CANDIDARE BARCA PREMIER” TRA SOGNI E ACCUSE I GIORNI AMARI DI BERSANI
Poteva finire così. Poteva finire con Franco Marini al Colle e Fabrizio Barca premier. A svelare lo schema è Pierluigi Bersani, timoniere che perse la rotta con l’avvento delle larghe intese. È lui, l’ex segretario dem, a raccontare quel che poteva essere e non è stato: «Pensavo che togliere di mezzo Bersani - dice di se stesso - poteva aiutare qualcuno a cambiare idea senza perdere la faccia. Un nome che avrei fatto io poteva essere Letta. O Barca. Era una possibilità ».
L’infernale trappola nella quale si cacciò il Pd - i giorni maledetti del siluramento di Marini e Prodi - è il fulcro del libro “Giorni bugiardi”. L’hanno scritto Stefano Di Traglia e Chiara Geloni, da anni al fianco dell’ex segretario. Fino allo schianto. Non rinnegano nulla, anzi difendono quella storia. Con qualche recriminazione autoassolutoria - «abbiamo avuto forse un eccesso di fiducia nella volontà di una parte importante degli italiani di uscire dall’inganno populista» - ma senza risparmiare pubblica denuncia di alcuni errori. Uno tormenta Bersani: «Dovevamo staccare la spina a Monti un minuto dopo Berlusconi».
È una cavalcata malinconica. Amara come il parricidio dei 101. E come Bersani, quando ammette: «Un altro nome al posto di Prodi? Segavano anche Papa Francesco». Non per questo si arresta l’“indagine” su chi affossò il Professore. «Chi ha un movente?», si chiedono gli autori. Che subito rispondono: «In nessun modo è possibile raggiungere la cifra di 101 senza includere i 41 renziani».
Si parte dal principio, da Massimo D’Alema che terrorizza Bersani: se accetti la sfida delle primarie di Renzi «arriverai terzo». Poi però il candidato premier e il sindaco lavorano insieme, con profitto: due comizi per le Politiche e addirittura a braccetto allo stadio per Fiorentina- Juve. Sotto di due gol, Renzi soffre: «Perché sono venuto qui, oggi?». Le elezioni sono un trauma, il sogno sfumato di Palazzo Chigi scivola tra le mani dell’allora segretario dem. «Avrei fatto così: avrei convocato il primo consiglio dei ministri dicendo a tutti: “Niente di che, è per conoscerci”. Al mattino dopo, però, le bozze per i provvedimenti dei primi cento giorni - cittadinanza, unioni civili, anticorruzione - sarebbero diventati legge. «Un governo di cambiamento? Sarebbe durato un anno, un anno e mezzo - sostiene Bersani - Ma dicevo: cadremo sul cambiamento».
C’è anche qualche frammento di storia che vale la pena conservare. E rivendicare. Bersani chiama Grasso: «“Fai il Presidente del Senato”. E lui: “Aspetta, fammi sedere. Ma sono in grado?”. “Imparerai” ». Spuntano anche dettagli sulla trattativa mai decollata con Grillo. Si tenta l’impossibile, cercando la mediazione di Renzo Piano e anche quella del dentista del leader pentastellato.
Tutto si incaglia sullo scambio proposto dal Pdl: Palazzo Chigi in cambio del Colle. Napolitano, intanto, fa sapere con una lettera recapitata ai leader della maggioranza - le ragioni che impediscono la sua rielezione. La missiva è firmata “GN”. Bersani, nel frattempo, si avvicina al burrone dei 101. Tratta con Gianni Letta, lavora seriamente per Sergio Mattarella al Quirinale, incontra Silvio Berlusconi. Gli staff riescono a evitare che anche solo un’immagine arrivi ai media. Il Cavaliere, come al solito, scherza. Sulla condizione di neofidanzato con suocera, sull’allenatore del Milan: meglio Seedorf di Allegri, profetizza.
Poi tutto precipita. Salta Marini «avrebbe stupito tutti - giura Bersani ma qualcuno voleva rompere il giocattolo » - si infrange Prodi. In mezzo, secondo gli autori, si intravede qualche ambizione frustrata di D’Alema e la manovra dei nemici interni per evitare le primarie dei parlamentari sul Professore.
Spazio all’epilogo, dunque. Bersani si dimette e chiede a Napolitano di accettare il bis. Perché? «Serve uno choc. È in gioco il Pd». Il Presidente accetta, «forse» dopo il pressing di Mario Draghi, «forse anche» della Casa Bianca. Si vola verso le larghe intese. «Presidente - ammette sconsolato lo sconfitto al Colle - sono andato due volte sotto un treno».