Marco Zatterin, La Stampa 5/11/2013, 5 novembre 2013
FUGA DALLA CULTURA IL CALO EUROPEO E IL CROLLO ITALIANO
Nella penisola della Cultura che arretra non tiene più neanche il fronte del piccolo schermo. Quaranta italiani su cento ammettono di non aver toccato il telecomando o acceso la radio nell’ultimo anno - sono quasi il doppio rispetto al 2007 - e confessano d’essersi astenuti perlopiù per mancanza d’interesse o tempo. Quelli che non hanno letto neanche un libro sono 44 su cento, mentre a quota 70 è il gruppo di chi non ha visitato un museo o una galleria. Che sia colpa della crisi o dei costumi che cambiano, sono numeri da brividi per un paese che ha una tradizione e un patrimonio culturale fra i più straordinari del globo.
In Europa fanno quasi tutti meglio, sentenziano i numeri del sondaggio Eurobarometro condotto in maggio sul tema «Accesso/partecipazione alla cultura» e diffuso ieri dalla Commissione Ue. Se si prende l’indice della fruizione attiva delle attività e si mettono insieme la frequenza «alta» e «molto alta», l’Italia appare al 23esimo posto della classifica continentale. Abbiamo un coefficiente da 8, dieci punti dalla media europea. La Spagna è a 19, la Francia a 25, il Regno Unito a 26 e i recordman svedesi sul tetto a 43. Lontanissimi, davvero.
È un problema globale. Culturale in senso lato. Si legge poco. Quasi non si balla o suona se non per ridere. Alla radice devono esserci famiglia e scuola, più alcune lacune amplificate da un rapporto fra desideri privati e offerta pubblica che non pare funzionare come altrove. Appena sei italiani su cento dichiarano di aver dimestichezza con uno strumento musicale, ma solo il 4 per cento canta con una continuità superiore a quella che richiede la doccia. Tre su cento sono stati a scuola di ballo (18 nell’Ue), due su cento lavorano nel cinema o nella fotografia con un qualche ambizione almeno semiprofessionale (12% nell’Unione).
Pochi quelli che dichiarano di aver scritto un romanzo, una poesia o un saggio, un magro due per cento contro il 5 riscontrato nella media del ventisette stati dell’Unione. Colpisce la limitata sensibilità al fascino delle muse, come se non si potesse o non si volesse dar fiato all’estro e alla sensibilità che pure non deve mancare. La somma dell’indagine dell’Eurobarometro sulle attitudini degli italiani è disarmante. Ottanta su cento non studiano la danza, non fanno musica, non scrivono, non fotografano, non fanno lavori creativi al computer, non disegnano. Che resta, allora, se hanno pure rinnegato la tv? Vanno sul web, per dirne una.
Il 25 per cento del campione italiano sondato da Eurobarometro viaggia su Internet tutti i giorni o più volte la settimana, risultato che ci pone oltre la media europea (22%). Uno su due naviga per essere informato, il che conferma il futuro della Rete come catalizzatore di news e analisi. Uno su tre cerca musica da ascoltare in streaming e pochi meno sono quelli che la scaricano (28%); il 14 per cento degli internauti ha un blog, dato superiore al valore europeo (11%). Il gruppo si sgretola quando si giunge allo shopping online, libri, dischi e spettacoli, ovvero la cultura attiva e a pagamento: undici per cento contro una media Ue del 27.
Soldi per uno spettacolo sembra essere uno scambio poco gradito. Ci salva il cinema, stabile nelle preferenze degli italiani (53% ci è andato almeno una volta nell’ultimo anno) e d’un soffio oltre il dato di riferimento europeo. Ma andiamo male coi monumenti, frequentati da appena il 41% degli intervistati, otto punti in meno rispetto al 2007, dieci in meno rispetto agli altri europei. Si scende al 26% coi concerti, al 24 con le librerie e il teatro e al 17 per balletto e opera. Con un riassunto spannometrico, si può dire che un italiano su quattro fa di tutto, uno su due va al cinema, e due su tre si deliziano con la tv.
Spiegare il perché della bassa frequenza e della ritirata è roba da sociologi o antropologi, anche se gli economisti avrebbero probabilmente parecchio da dire. A Eurobarometro gli italiani hanno spiegato che la lontananza dalla cultura praticata è un cocktail fra carenza di interesse (teatri e biblioteche in testa) e mancanza di tempo (libri su tutto). Poi ci sono i soldi. Per un quarto del campione i concerti costano troppo cari, però il dato sale al 42% per i giovani, ed è una cosa su cui i promoter dovrebbero ragionare. Il 35% trova i musei esosi, magari è il riflesso della fine del mecenatismo pubblico e dell’adeguamento dei listini ai costi. Avrebbero però davvero più visitatori se costassero meno? Forse. A studiare bene il quadro complessivo è chiaro che sarebbe in ogni caso molto dura.