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 2013  novembre 04 Lunedì calendario

FITTO, IL LEALISTA NELL’ANIMA CHE DISSE DI NO A D’ALEMA


Quando rimase orfano, Raffaele Fitto, il capofi­la dei lealisti berlusco­niani, aveva dicianno­ve anni e un giorno. Era il 29 ago­sto del 1988 e il padre, Salvatore, eminente presidente democri­stiano della Regione Puglia, era morto in un incidente stradale prima ancora che il giovanotto finisse di scartare i regali di com­pleanno della vigilia. Li lasciò in­tatti e, voltata pagina, raccolse il testimone del genitore. A Maglie, la città natale - la stessa di Aldo Moro - Raffaele era stato fin lì considerato un fi­glio di papà. Buona mezzala nel gioco del pallone, arrogante con i professori, frequentatore di discoteche, sfegatato demo­cristiano che faceva a pugni con i comunisti. Ma il giorno delle esequie indos­sò la camicia bianca e l’abi­to scuro e da al­lora non li tol­se più. Sono tuttora la sua divisa di politi­co in carriera, che veste Cara­ceni e che, sempre petti­nato e sbarbato, rappresenta il berlusconiano che va a genio al Cav. Ha i difetti di sorridere po­co, essere scarsamente comuni­cativo e della cadenza leccese. La sua virtù è la pudicizia che manifesta abbassando gli occhi e imporporandosi quando De­nis Verdini, coordinatore del Pdl, spara una delle sue irripeti­bili scollacciatezze toscane. «Sarò governatore della Pu­glia », si ripromise Raffaele dopo la tragedia familiare e andò per consiglio da Max D’Alema che, seppure avversario politico, era stato estimatore del papà ed era deputato comunista della Pu­glia. Max lo incoraggiò vedendo in lui la stoffa del figlio d’arte e pregustando future alleanze. Con questo viatico, nel 1990, l’orfano fu eletto a 21 anni consi­gliere regionale della Dc ancora solidamente in sella.«Fitto ave­va­allora l’autorevolezza e la ma­turità che ha oggi », ha racconta­to tempo fa Gianfranco Roton­di, dc dalla nascita ed ex mini­stro, che se lo vide arrivare a Sa­int Vincent, nel convegno della corrente di Donat Cattin, per soffiargli la palma del parteci­pante più giovane che lui, con i suoi 29 anni, pensava di detene­re e che, invece, toccò al virgulto di Maglie.
Crollata la Dc sotto i colpi di Tangentopoli, Raffaele si trovò automaticamente nel Ppi di Mi­no Martinazzoli. Fu qui che for­nì prova di ca­parbia coeren­za politica. No­nostante fos­se evidente che i magistra­ti di Mani puli­te, mazzolan­do a testa bas­sa centristi e craxiani, ri­sparmiavano metodicamente le sinistre di ogni sfumatura, Raffaele, con sprezzo del pericolo, si schierò sempre a destra, rifiutando ogni commistione con Querce e Ulivi. «Se vai con loro, ti fagoci­tano », diceva, non cedendo nemmeno- come vedremo- al­le lusinghe tentatrici di D’Ale­ma.
Appena il Ppi si legò agli ex co­munisti, Fitto ne uscì e passò nel Cdu di Rocco Buttiglione che aveva scelto l’alleanza col Cav ai suoi debutti (1994). Quat­tro anni dopo, quando invece Buttiglione, seguendo le sirene di Francesco Cossiga e Clemen­te Mastella, passò con l’Udr per appoggiare il governo D’Ale­ma, Raffaele non ci pensò due volte: mollò Buttiglione per re­stare fedele al Cav. Fu in quella occasione che lo conobbe, por­tato nella sua dimora dal conter­raneo di An, Pinuccio Tatarella. Fitto era allora, vicepresidente della Puglia (era stato rieletto in Regione nel 1995) e si presenta­va con l’aureola del «grande ri­fiuto ». Era accaduto infatti che D’Alema,per favorire la conqui­sta diessina della Puglia, allora del centrodestra, fosse andato personalmente a casa di Fitto a Maglie, non lontano dalla piaz­zetta in cui c’è l’assurda statua di Aldo Moro con l’ Unità in ta­sca. «Se vieni con noi - gli disse Max - ti garantisco la presiden­za della Regione». «No grazie, sono a destra e ci resto», fu la re­plica.
Questo per dire che il Fitto «le­alista » delle ultime settimane non è casuale, ma coincide con la sua storia politica. Atteggia­mento che gli ha portato innu­meri vantaggi ma che corrispon­de a convinzioni radicate.
Nell’incontro con Tatarella,il Cav trovò subito irresistibile il giovanotto. «Tu sarai la mia pro­tesi », gli disse cooptandolo tra i pupilli. Il primo effetto, fu lo sbarco di Fitto al Parlamento Ue dove rimase però solo un anno, poiché nel Duemila - eletto trionfalmente con il Pdl - optò per la presidenza della Regione Puglia. Aveva 31 anni, la stessa età di Napoleone Console. Il quinquennio di Fitto alla Regio­ne è ricordato in chiaroscuro. Promosse una riforma sanitaria che migliorò i conti ma fece veni­re l’orticaria ai pugliesi per la chiusura di diversi ospedali «sotto casa». È su questa rabbia che, allo scadere del mandato nel 2005, giocò il rifondazioni­sta Nichi Vendola, riuscendo a batterlo e a prenderne il posto. La guida della Regione gli è an­che costata una condanna a quattro anni per finanziamento illecito, nonostante Fitto abbia dichiarato e messo in bilancio le somme.Ma è solo una senten­za di primo grado e l’interessato si dice sicuro di sé.
Appiedato, Raffaele profittò della pausa per impalmare, alle nove di sera ( de gustibus ) la sua bella Adriana nel luglio 2005. Al­la vigilia della nascita del primo figlio, il Cav gliene combinò una delle sue. Ospite di Fitto per un comizio in Puglia, il Berlusca, per ingraziarsi la folla, annun­ciò l’avvenuta nascita del bam­bino. Non era vero perché man­cavano 48 ore. Così, Adriana fu inondata di telegrammi e fiori mentre era ancora preda delle doglie e lo smarrito papà fu com­battuto tra l’indulgenza verso il Cav e la voglia di strozzarlo. Per farsi perdonare, il Berlusca spe­dì Fitto in Parlamento, dove è or­mai da tre legislature, e lo nomi­nò nel 2008 ministro delle Regio­ni del suo quarto governo.
Un grave limite di Raffaele è il continuo timore di essere scal­zato dal suo potere pugliese. Pa­ranoia che ha fatto perdere al centrodestra la riconquista del­la Regione nel 2010, quando un Vendola alle corde, riuscì a spuntarla per le paturnie di Fit­to. Sarebbe bastato, per sconfig­gere il centrosinistra, candida­re con il Pdl, Adriana Poli Borto­ne, ex An e popolarissimo ex sin­daco di Lecce. Il Berlusca lo sa­peva dai sondaggi, ma Fitto si mise di traverso inventando ar­zigogoli contro Poli Bortone. In realtà temeva che, lei eletta, l’elettorato da lui controllato tra­smigrasse in base alla logica, dif­fusa nel Sud, di andare con chi più è in grado di farti favori, co­me lo è chi governa la regione. Così, Poli Bortone, stanca di bal­letti, si presentò per conto pro­prio, dividendo il centrodestra. Della parcellizzazione, profittò Vendola che rivinse. Fitto ebbe un tracollo di stima tanto che di­ve­rsi conterranei non gli perdo­nano tuttora la sconfitta causa­ta dal suo basso egocentrismo. Ma, a soli 44 anni, avrà tempo per riscattarsi.