Roberto Zunini, Il Fatto Quotidiano 4/11/2013, 4 novembre 2013
PRIMAVERA SOTTO IL VELO: APRE IL PRIMO SEXY SHOP
Sexy shop sì, purché halal. In Turchia è stato aperto due settimane fa il primo sexy shop online conforme ai precetti islamici, ed è già un grande successo, soprattutto tra le donne. Halal, che significa “ciò che è permesso” dalla sharia, la legge islamica, non riguarda solo la questione alimentare e igienica, ma anche il comportamento, il linguaggio, gli abiti e in generale lo stile di vita che un buon musulmano dovrebbe tenere. La caratteristica principale di questo sito è la divisione in due sezioni: una per gli uomini e una per le donne. Il fondatore di Halal sex shop, Haluk Murat Demirel, sostiene che il boom di contatti femminili è dovuto al fatto che “le donne non si sentono a disagio quando navigano sul sito perchè non ci sono nudi o altre immagini oscene”. Tra i prodotti in vendita c’è una vasta gamma di preservativi, olii per massaggi e altri prodotti “assolutamente sicuri”. Ma c’è anche una sezione, altrettanto frequentata, dedicata a ciò che l’Islam consente in materia di sesso. Gli internauti, coperti dall’anonimato possono esprimere in chat le loro opinioni a riguardo e discuterne. Al quotidiano Birgun, Demirel ha spiegato di essere rimasto sorpreso dal fatto che le critiche alla sua iniziativa non siano arrivate dagli ambienti più tradizionalisti e religiosi, ma al contrario da quelli di sinistra e laici, che non condividono l’idea di dover sottomettere ai principi religiosi anche la sfera più intima della vita privata. L’affermazione di Demirel però non deve trarre in inganno. I teologi e i membri del partito della giustizia e sviluppo, Akp – il partito islamico moderato fondato da Tayyip Erdogan, che governa il paese da 11 anni – non sono disinteressati all’argomento, tutt’altro.
IN QUESTO PERIODO però non vogliono rifomentare il dissenso di buona parte dell’opinione pubblica perché si sono appena riaperte le trattative per l’ingresso del paese nell’Unione Europea, bloccate dalla Germania e dalla Francia nel giugno scorso a causa della violenza sproporzionata delle forze dell’ordine nei confronti dei due milioni di manifestanti scesi in piazza in tutta la Turchia per salvare il parco di Gezi a Istanbul. In quelle due settimane morirono cinque ragazzi, uno centrato in viso da un proiettile sparato a distanza ravvicinata da un poliziotto in assetto antisommossa, che si è giustificato affermando di averlo fatto per autodifesa, nonostante i filmati dimostrino che Ethem Sarisuluk, il ventisettenne ucciso, fosse disarmato. Mentre oggi infuria un’altra protesta nel parco dell’università tecnica del Medio Oriente, ad Ankara, dove il governo ha deciso di dare il via all’abbattimento di 3mila alberi per far passare una superstrada (c’è già stata una vittima, un ragazzo di 22 anni colpito a morte da una cartuccia di gas lacrimogeno), il “neo-ottomanesimo ” targato Erdogan sta provando ad abbattere anche l’emancipazione femminile nella sfera privata. Inserite nella sfera pubblica da Mustafà Kemal Ataturk che, dopo aver fondato nel 1923 la repubblica turca, basata sulla laicità dello Stato, non solo concesse loro il diritto di voto ma stabilì per legge una quota rosa in ambito parlamentare, le donne turche iniziarono subito a lottare per emanciparsi anche in ambito privato. A partire dall’anno scorso la loro libertà di scelta, la loro privacy e le conquiste ottenute sono state sabotate da nuove leggi e dai giudizi di alte personalità dello Stato, politici e teologi del partito di governo. Il caso più eclatante è stato il licenziamento, un mese fa, di una giovane conduttrice televisiva a causa del suo vestito troppo scollato. O, meglio, a causa delle critiche espresse pubblicamente dal portavoce del partito di governo, Huseyn Celik, un fedelissimo di Erdogan. È stato lui a definire “estrema” la scollatura di Gozde Kansu. Certo i nostri standard sono diversi, resta il fatto che si tratta dell’ennesimo segnale di quello che il maggiore partito di opposizione turco, il repubblicano Chp, definisce “accelerazione del conservatorismo islamico”. L’opposizione ha, ovviamente, strumentalizzato la vicenda, ma Celik non ha mostrato alcun tentennamento, anzi ha rincarato la dose: “Non interveniamo contro nessuno, ma questo è troppo. È inaccettabile”. Dopo le voci sul licenziamento della presentatrice dal varietà “Veliaht” e la sua immediata “scomparsa” dagli studi del programma, il giornale Hurryet ha scritto che i produttori sostengono la versione del “congedo volontario” della conduttrice. Una scusa che non ha convinto la parte laica dell’opinione pubblica, ormai spaccata a metà: la nuova borghesia islamica che vota Akp da una parte e i laici, di ogni estrazione sociale, dall’altra. La prova del nove di questa spinta conservatrice, i cittadini laici se la sono trovata servita sul piatto d’argento del cosiddetto “pacchetto di democratizzazione” – che sembra essere tanto piaciuto ai negoziatori dell’UE – entrato in vigore proprio pochi giorni dopo il “congedo” della bionda conduttrice. Assieme alle poche e insufficienti concessioni preparate per far star buona la comunità curda, che si è detta profondamente delusa, è stata revocata la proibizione kemalista del turban, il velo, e della barba islamica per tutti coloro che lavorano nelle istituzioni pubbliche, dagli insegnanti ai parlamentari. Le donne turche laiche però non contestano la liberalizzazione del velo, finché non verrà loro imposto, quanto le leggi che restringono la loro libertà di scelta. Quella più criticata è stata la messa fuori legge dell’aborto, avvenuta all’inizio dell’anno. L’interruzione di gravidanza oggi è consentita solo se la vita della madre è in pericolo o in caso di stupro. C’è un’altra legge che ha lasciato allibite non solo le donne ma anche gli uomini e sollevato molte critiche da parte delle organizzazioni per i diritti umani e la privacy: l’obbligo per i ginecologi di avvisare i familiari qualora la paziente risulti incinta. Se si tratta di una donna sposata, il medico deve telefonare al marito, se invece ad aspettare un bambino è una donna non sposata, allora è obbligatorio avvisare il padre. Per quanto riguarda la pillola del giorno dopo, il tentativo di vietarne la prescrizione è stato, finora, scongiurato, ma non è detta l’ultima parola. Per questo molte donne, comprese quelle musulmane, sono scese in piazza nel giugno scorso non solo per solidarizzare con i manifestanti pro Gezi ma per mostrare la loro frustrazione.