Marcello De Cecco, la Repubblica Affari & Finanza 4/11/2013, 4 novembre 2013
LE VIRATE DELLA FED GONFIANO L’EURO
Quando furono create, le banche centrali dovevano stabilizzare i mercati finanziari, specie quando questi erano investiti da flussi elevati di nuovi titoli di stato emessi per finanziare le spese dei governi. Loro compito divenne anche fungere da prestatori di ultima istanza nei confronti delle banche commerciali. Solo molto più di recente ad esse si è dagli economisti cosiddetti monetaristi assegnato come primo compito quello di stabilizzare i prezzi. Ed è un compito che in tempi di inflazione elevata ha ricevuto sempre maggiore attenzione rispetto a quello originario. Dall’inizio della crisi, la stabilizzazione dei mercati finanziari è tornata ad occupare il primo posto tra gli obiettivi delle banche centrali e di certo della Federal Reserve. A maggio e ancora a giugno scorsi era sembrato che la Fed volesse tornare a considerare la stabilità dei prezzi come obiettivo primario. Le sembrava essere giunto il tempo di iniziare un tapering, una graduale riduzione della espansione monetaria. La giudicava necessaria, perché pareva che l’economia fosse tornata a esprimere la capacità di generare tassi di espansione del reddito sufficienti a farla tornare a livelli di occupazione soddisfacenti. Ma a luglio si verificava una nuova virata di 180 gradi. I mercati, che da maggio si erano abituati ormai a pensare che la Fed fosse tornata a guardare alla stabilità dei prezzi, come al suo obiettivo primario, hanno reagito non credendo sulle prime alla nuova giravolta. Male gliene ha incolto, perché,
visto il ritorno in salute dell’economia americana non pareva, pensandoci meglio, ai timonieri monetari della Fed abbastanza stabile da poterlo dare per scontato, si credeva ora che i mercati avessero ancora bisogno di una dose mensile di 85 miliardi di dollari per convincerli a far scendere di nuovo i tassi di interesse a lunga in maniera significativa, così da garantire una crescita soddisfacente e durevole del pil. Finalmente, i mercati hanno dato segno di credere al perdurare dell’espansione monetaria e si sono comportati di conseguenza, esprimendo una notevole euforia, che ha portato gli indici di borsa americani a crescere allegramente, seguiti da quelli degli altri principali paesi. Malgrado la assai maggiore correttezza, stabilità e continuità dell’azione della Bce, che ha seguitato a favorire con azioni e dichiarazioni l’espansione monetaria praticata tramite gli acquisti di titoli sul mercato, si è visto che la scelta della musica al suono della quale far ballare i mercati e le economie spetta ancora alla Fed. Gli operatori di tutto il mondo hanno con le loro azioni causato un ribasso del dollaro e un conseguente rialzo del cambio Euro/Dollaro. La loro azione è stata amplificata dalla politica monetaria della Banca del Giappone, alla quale Shinzo Abe ha ordinato di operare per ottenere una svalutazione dello Yen e un conseguente rilancio delle esportazioni giapponesi. La politica espansiva della Boj era mirata anche a far aumentare il livello dei prezzi, per scongiurare la deflazione, una volta entrati nella quale, come insegnava Keynes, e come conferma l’economia giapponese negli ultimi due decenni, è difficile uscire. Risultato finale: un marcato rialzo del cambio dell’Euro, giunto velocemente a superare gli 1,38 dollari. Le conseguenze di un perdurare di tale situazione per le esportazioni dei paesi dell’Euro, e in particolare di Italia e Francia, sono evidenti. Ma la risalita dell’Euro rispetto al Dollaro e allo Yen, specie perché è giunta inattesa, quando da maggio ci si aspettava l’inizio del tapering in America e quindi un dollaro forte, ha causato anche una nuova turbolenza dei mercati finanziari, cui certo non ha giovato la folklorica attività politica cui si è dedicato il Congresso degli Stati Uniti, intento nella pratica anacronistica dell’arresto minacciato del finanziamento delle spese del governo. Come in ogni western che si rispetti, è arrivata la cavalleria e all’ultimo momento un compromesso politico ha evitato il fiscal cliff. Ma, al contrario di un buon western, questo non ha scatenato l’entusiasmo degli spettatori. Anzi, gli effetti sull’elettorato si prevede saranno assai negativi per il partito repubblicano, responsabile di azioni tanto primitive e pericolose. L’operare congiunto di tutte queste forze nei paesi principali ha avuto come risultato l’almeno temporaneo azzeramento degli effetti della espansione monetaria sia negli Stati Uniti che in Europa. Ora che le intenzioni della Fed sono state dichiarate con maggior chiarezza, e da parte della Bce e della Banca del Giappone si sono fatte dichiarazioni equivalenti di continuare l’espansione monetaria, è sperabile che i mercati si tranquillizzino in modo più duraturo. A giudicare dal comportamento dell’oro e delle materie prime speculative l’effetto sembrava essere stato rapidamente ottenuto. Tanto rapidamente e celermente che la Fed deve essersi convinta di aver nuovamente creato con le sue dichiarazioni aspettative in una sola direzione, col risultato di far concentrare la speculazione solo a favore del ribasso del dollaro. Cioè di squilibrare di nuovo i mercati finanziari. Se, infatti, si danno certezze agli speculatori, le autorità possono fomentare un aspetto valanga. Comunque si voglia giudicare le azioni della Fed da maggio ad oggi, le ripetute inversioni di direzione danno l’impressione di una scarsa capacità di comprendere quello che accade nell’economia reale degli Stati Uniti, in particolare di valutare l’intensità della ripresa. I mercati finanziari dominano ormai quelli reali, ma si basano ancora, per impostare le loro rapidissime strategie, sui cambiamenti più lenti e incerti che hanno luogo nell’economia reale stessa. E’ anche solo lo sfasamento tra i tempi di aggiustamento finanziari e quelli reali a rendere più difficile l’azione delle autorità monetarie.