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 2013  novembre 04 Lunedì calendario

VISIONI DEL SOTTOSUOLO. "L’INGANNO È SEMPRE IN SUPERFICIE". LA PROFEZIA DI HUGH HOWEY


Immaginate un’intera comunità di persone che vive all’interno di un gigantesco silo sotterraneo: cento piani collegati tra loro da un’interminabile scala a chiocciola. Ci si sposta solo così: a piedi, su e giù dai gradini della scala sociale. Ai piani inferiori vivono i meccanici, ci sono le macchine e le pompe che estraggono petrolio e producono energia elettrica. Sopra di loro i contadini, gli allevamenti di animali e gli orti idroponici. Nei piani alti i programmatori informatici, con i server e i computer che controllano ogni aspetto della vita dentro al silo. E dove il silo si avvicina alla superficie vi è un grande cinema, dove si può osservare la Vista: ciò che le telecamere riprendono del mondo esterno, uno sterminato paesaggio brullo, devastato da un’antica quanto misteriosa guerra. Ogni volta che qualcuno degli abitanti del silo trasgredisce una regola, viene condannato a "uscire": gli viene cucita addosso una tuta che si sgretolerà nell’atmosfera acida e consegnato uno straccio di lana. Perché tutti i condannati, un volta fuori, un attimo prima di morire ripetono lo stesso gesto: puliscono, con un panno di lana, le telecamere. E perché lo fanno?

La soluzione del mistero è il filo conduttore di uno dei più formidabili libri dell’anno: si intitola Wool. Il suo autore, Hugh Howey, lo ha pubblicato in cinque puntate sulla piattaforma di self-publishing di Amazon, dove, da qualche anno, è saldamente in cima alle classifiche di download. Oggi esce in versione cartacea (Howey si è tenuto i diritti digitali) in più di venticinque paesi (in Italia lo pubblica Fabbri editori) e Ridley Scott, il regista di Blade Runner, ne ha acquistato i diritti per farne un film. Un clamoroso successo di pubblico, ma questa volta anche di critica: perché dietro alla storia intrigante, questa volta, c’è anche uno scrittore.

Incontriamo Howey a Francoforte, chiedendogli se è finalmente arrivato il momento del ritorno della grande narrativa di fantascienza. «Non bisogna parlare di fantascienza. Wool, come Player One (di Ernest Cline, Isbn Edizioni), sono storie e basta. La gente le legge perché parlano di noi, del nostro mondo, della dipendenza dai computer. Non di battaglie spaziali». Howey ha 38 anni, e ne ha trascorsi sei su una barca, con un generatore di corrente a vento, un dissalatore e una schiera di pannelli solari. «Quando sei in mezzo al mare, è come se fossi nello spazio. L’unica differenza è che puoi respirare». E proprio in mezzo al mare gli è venuta l’idea del mondo dentro a un silo, con gli abitanti come "raccolto per l’inverno". «Dopo giorni e giorni da solo, riuscii finalmente a captare il segnale radio di alcuni telegiornali. Ma anziché confortarmi, ne fui terrorizzato: erano solo notizie terribili».

Secondo Howey, il terrore informativo è un modo per tenerci sotto controllo. Per togliere il coraggio di viaggia- re ed esplorare. E di scoprirlo. L’informazione, i server, lo stesso Internet, può anche essere una grande menzogna collettiva. E come nel romanzo culto La penultima verità di Philip K. Dick (Fanucci), il mistero e l¿inganno non si trovano nel sottosuolo. Ma in superficie. O, meglio, nell’immagine della superficie. «Quando iniziai a scrivere, avevo solo pensato al perché quelle telecamere fossero così importanti. E perché dovessero essere pulite», confessa, «ma quando mi accorsi che avevo così tanti lettori, e che loro stessi si ponevano decine di domande sulle regole del silo, sentii su di me la responsabilità di tutte le loro aspettative».

Howey ha cercato di evitare l’"Effetto Lost", e cioè i telefilm che, con la loro mancata pianificazione nella risoluzione dei misteri, hanno finito per deludere milioni di spettatori in tutto il mondo. Si è quindi fermato e ha costruito con attenzione l’intero universo narrativo, anche apportando modifiche a quanto aveva già fatto: «Il libro che è appena uscito ha un capitolo che inizialmente non esisteva, il numero tredici. Ma che, d’accordo con il mio editor alla Simon & Schuster, ho aggiunto per anticipare la comparsa di alcuni personaggi». Il risultato cartaceo è quello di un romanzo godibile, claustrofobico, popolato da personaggi che vivono inconsapevoli di tutto ciò che c’è intorno a loro e si affidano alle istruzioni ricevute sui computer, dove la carta è più a buon mercato delle email (un quarto di buono pasto) e dove la verità su quanto è successo è contenuta in un vecchio libro, nascosto dentro un finto computer.

Scoprire il mistero dei programmatori e del panno di lana con cui i condannati a morte puliscono le telecamere sarà il compito di Juliette, la protagonista, una meccanica di trentaquattro anni (di cui si innamora Lukas, un ragazzo di dieci anni più giovane) e che ricorda, in quanto a determinazione, la Ripley di Alien. «Juliette è una pericolosa, perché fa sempre cose nel migliore dei modi», spiega Howey. E una che fa gruppo. «Ci tengono tutti insieme, ma separati, ignari gli uni degli altri, in modo da non infettare i vicini se dovessimo ammalarci».

Wool è diventato un libro di culto grazie alla rete, ma al suo interno i programmatori dell’information technology fanno la figura dei grandi truffatori. A questa domanda lui sorride, guarda il suo libro e risponde: «Non mi risulta che nessun server abbia mai nutrito qualcuno, salvato una vita umana o rammendato un paio di pantaloni. Le macchine sono importanti, certo», conclude Howey, «ma solo perché siamo importanti noi». Tanto perché lo sappiate, le telecamere fuori dal silo non mentono. Sarebbe troppo facile: là fuori è davvero impossibile vivere. Per sapere dove si nasconde l’inganno, dovete essere più sottili. Come un foglio di carta.