fra. gri., La Stampa 4/11/2013, 4 novembre 2013
TRE FORZE NAVALI E TRE SISTEMI RADAR
CHE NON DIALOGANO TRA DI LORO –
L’operazione Mare Nostrum ha fatto venire alla luce anche l’ennesima anomalia italiana: le forze che operano in mare (Marina militare, Capitaneria di Porto, Guardia di Finanza) non dialogano tra loro. Questione di piccole gelosie di corpo. Tutte e tre dispongono di una rete radar costiera, costata negli anni un accidenti alle casse dello Stato. E nessuna è disponibile a cederla agli altri. Nemmeno indirettamente.
La legge che ha varato Mare Nostrum ha provato anche a forzare le resistenze di casacca e ora impone lo scambio di dati radar. Lo scandalo si nasconde dietro un acronimo, Diism, che sta per Dispositivo interministeriale integrato sorveglianza marittima. Il Diism, deciso nel lontano 2007 nell’ambito della presidenza del Consiglio, nel frattempo s’è miseramente arenato.
Eppure sembrerebbe tanto facile: l’Italia ha così tante coste, ci arrivano barconi carichi di immigrati da tutte le parti, proviamo a individuarli con i radar. La Guardia di Finanza ha i suoi, che sono mobili, eccezionali per individuare gli scafisti albanesi e tanti altri contrabbandieri. La Capitaneria di Porto ne ha altri, una rete dedicata soprattutto alla navigazione commerciale. La Marina militare ne ha di altri, sofisticati, rinnovati nel 2007 grazie ad un appalto da 63 milioni di euro (vinto da Finmeccanica). Che cosa di meglio che farli dialogare per via telematica? Era già prevista anche una Centrale operativa, in sigla Cnism. Solo che, siccome il controllo del Cnism era in capo alla Marina militare, gli altri hanno sentito odore di «supremazia» e i dati non sono mai arrivati.
Per il momento, da appena una decina di giorni, in forza anche al provvedimento del governo (essendosi messa d’impegno il sottosegretario alla Difesa Roberta Pinotti), si è giunti a un compromesso: nelle tre centrali operative di Marina, Gdf e Capitaneria, sono stati distaccati ufficiali di collegamento delle altre forze. Al telefono gli ufficiali di collegamento s’informano ciascuno presso la propria casa madre di quali tracce vedono sui «loro» radar e riferiscono a voce alta nella centrale operativa che li ospita per decidere chi mandare sul posto.
IL tutto con buona pace del famoso Cnism, la Centrale nazionale di sorveglianza marittima, pagata con parte di quei 63 milioni di euro e integrata con altri 25 milioni di euro per dare sostanza al Diism. L’idea, peraltro, era ottima: la Centrale, ospite del comando della nostra flotta detto Supermarina, alle porte di Roma, avrebbe dovuto accentrare tutti i dati dei radar italiani, e avrebbe anche dovuto ospitare i rappresentanti della presidenza del Consiglio, dell’Unità di Crisi della Farnesina, della Protezione civile, della centrale antimmigrazione del ministero dell’Interno, più rappresentanti del comando delle Capitanerie di porto, della Gdf, dei carabinieri, della polizia, dei servizi segreti, e persino dell’Agenzia delle Dogane. Bellissimo. Tutti assieme avrebbero dovuto aiutare a comporre il Maritime situational awareness nazionale. Ma tutto è rimasto sulla carta. Questione di supremazie indigeste.