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 2013  novembre 02 Sabato calendario

IL PATTO DI GARIBALDI CON MAFIA E CAMORRA

«Faccio una premessa. Il Risorgimento è un momento molto complesso della storia patria, in esso convivono molte componenti ideali, politiche e geopolitiche. Nessuno vuol disconoscere il valore del patriottismo, però c’è anche un’altra storia, imbarazzante. Diciamo così, l’obiettivo era alto, ma scesero a patti col diavolo». Giovanni Fasanella, giornalista e scrittore, lo sostiene da storico. Nel suo ultimo volume dal titolo Una lunga trattativa ripercorre l’epica dell’unità d’Italia, per arrivare ai giorni nostri con un’unica linea coerente. Per dirla con Franz Botré: questi siamo perché da lì veniamo. Basta non avere il paraocchi per capirlo.
«I Mille sbarcano a Marsala l’11 maggio 1860. Garibaldi, che li guida, è espressione della massoneria ed è pure anglofilo. Sapeva. Certo che sapeva...». Cosa? «Sapeva che il Regno delle Due Sicilie sarebbe caduto per implosione. C’era chi ci stava lavorando da tempo. A iniziare da Francesco Crispi, mazziniano, massone, agente d’influenza inglese. Un siciliano. Ricercato dalle polizie di mezza Europa per attività cospirativa. Aveva trovato rifugio a Londra, poi a Malta, che era colonia britannica. In seguito avrebbe controllato la Loggia centrale di Palermo e sarebbe stato affiliato alla segreta Loggia Propaganda fondata da Giuseppe Zanardelli. Lo stesso Zanardelli che, come mi ha detto Francesco Cossiga, fondò pure la Propaganda 2. Era arrivato in Sicilia nel 1859, Crispi, con i baffi lunghi e gli occhiali scuri, con tanto di passaporto falso. Per preparare le condizioni dello sbarco. Aveva relazioni con le grandi famiglie dell’aristocrazia siciliana e lì reclutò decine e decine di picciotti. La mafia prerisorgimentale era diversa da quella che abbiamo conosciuto negli ultimi cinquanta anni. I picciotti erano al servizio delle famiglie nobili, gestivano feudi e poderi ». Finché sbarca Garibaldi.
Legami britannici
«Che, ripeto, sapeva», incalza Fasanella. «Era partito da Quarto il 6 maggio 1860, con mille uomini. Le armi non le aveva. Si dovette fermare a Talamone, in Toscana, per fare il carico. E comunque senza un’adeguata “preparazione” sarebbe capitolato subito davanti alla Marina e alle forze di terra borboniche. Viaggiava con i Mille, a bordo di due piroscafi, il Lombardo e il Piemonte, messi a disposizione dalla compagnia Rubattino che aveva legami britannici. E a bordo, con lui, chi c’era?». Già, chi c’era? «Oltre ai patrioti, la Gran Bretagna gli aveva messo a disposizione zuavi algerini, volontari indiani, esperti provenienti da Londra. Tra loro anche Istvan Turr, ungherese, ex ufficiale dell’esercito austriaco dal quale aveva disertato per mettersi al servizio della regina Vittoria. Sua Maestà lo aveva già utilizzato per i suoi contatti riservati con casa Savoia, per poi metterlo alle costole di Garibaldi durante la Seconda guerra d’indipendenza in cui aveva combattuto con il grado di capitano dei Cacciatori delle Alpi. Quando i due piroscafi arrivano a Marsala, trovano ad attenderli due cannoniere inglesi: Argus e Intrepid. Ufficialmente erano schierate per proteggere gli interessi britannici, ovvero gli stabilimenti di vino Hopps, Ingham, Woodhouse e Whitaker che avevano le sedi al porto. Hanno però un altro compito: impedire che la flotta borbonica bombardi i legni garibaldini ».
E ogni volta che le camicie rosse si trovavano in pericolo, sulle case e sui bastioni veniva issata la Union Jack, quasi si trattasse di Malta o di Gibilterra. «Era così da decenni, da quando gli inglesi avevano conquistato il monopolio dello zolfo siciliano, che serviva per produrre la polvere da sparo. Quando Garibaldi sbarca, viene accolto dal viceconsole britannico Richard Cossins, che era anche direttore dello stabilimento Ingham. Ai Mille si uniscono i picciotti del barone Stefano Triolo di Sant’Anna. È solo l’inizio di un più ampio reclutamento. In breve i picciotti sono 3.500. Utilizzando vie note ai contrabbandieri, Garibaldi, con l’appoggio strategico di Giovanni Corrao (affiliato alle cosche), gode di un credito pressoché illimitato». La famiglia di Carini assicura rifornimenti e cassa, ci sono notabili che coordinano i picciotti, curano l’arsenale e la manutenzione. Dalla Piana dei Greci arrivano le informazioni. Da Boccadifalco e Pietraganzili, guide ed esploratori. «Tagliano i pali del telegrafo, ammazzano i soldati borbonici che restano isolati. Entrano a Palermo senza grosse difficoltà, poi puntano alla Calabria e infine a Napoli. Dove Liborio Romano, già prefetto e poi ministro dell’Interno sotto Francesco II, con una piroetta si mette al servizio del nuovo disegno. Collabora pure la camorra che “bonifica” il Napoletano. E quando Garibaldi entra a Napoli in carrozza, il 7 settembre 1860, viene acclamato come “zio Peppe”».
Fatti, non giudizi
I capi popolo possono dedicarsi al contrabbando. «Garibaldi per sdebitarsi preleva un milione di ducati dal Banco di Sicilia e due milioni dal Banco di Napoli, parte dei quali viene prontamente girata per ringraziare picciotti e camorristi», scrive Fasanella, che precisa: «Ma il giudizio retroattivo è difficile e scivoloso. Io racconto senza giudicare. Racconto con un occhio all’oggi e al domani. Siamo un Paese con determinate caratteristiche e patologie, questa è la nostra storia e non puoi occultarla. Certi bubboni con aspetti imbarazzanti devono essere resi noti perché non pesino più».
I servigi della malavita torneranno comodi anche in vista dei plebisciti per l’annessione dell’ex Regno delle Due Sicilie al Piemonte. «È un dato accertato che in molti seggi i “sì” furono più numerosi dei votanti, ci fu una compravendita di schede. Insomma con i fondi prelevati alle banche vengono anche corrotti alcuni funzionari borbonici, stipendiati certi mafiosi, pagate le tangenti per le forniture militari, i viveri e l’assistenza ai falsi invalidi. Vengono anche ricompensati i giornalisti-scrittori utilizzati per la propaganda: Alessandro Dumas riceve un dono di 500mila ducati d’argento». Serviranno mesi per arrivare a un primo giro di vite, blando, contro le scarcerazioni facili.
È una storia che si ripete con la fine della Seconda guerra mondiale. Dove, tra le decine di documenti che certificano (oggi) gli accordi raggiunti tra Alleati e mafia, spunta adesso una lista di intoccabili.
Un Paese vinto
«Sono fatti noti nel loro complesso, ma che meritano una riflessione. Se cerchiamo il Trattato di pace del 1947... lo troviamo su Internet. A nessuno però è mai venuto in mente di domandarsi quali conseguenze ha avuto quel trattato. Imposto dalle potenze vincitrici a una nazione sconfitta. Non eravamo un Paese normale, ma solo un’illusione di fisiologia democratica. In realtà siamo usciti sconfitti. E come tali soggetti a condizionamento. Si è imposto al governo italiano l’obbligo di garantire l’immunità ai cittadini che avevano aiutato gli alleati dallo sbarco al trattato di pace. Ci sono allegate anche le liste. E quella siciliana è secretata ancora oggi. Sono nomi ai quali il governo italiano, per imposizione, doveva garantire immunità. Oltre a uomini della ex Rsi, ai sabotatori della Xª Mas e ad altre eccellenze militari, c’erano anche agenti che avevano scelto di passare di campo e molti esponenti di Cosa nostra. Perché in Italia si sono combattute due guerre: in una gli alleati, con il supporto delle formazioni partigiane, hanno lottato contro il fascismo, nell’altra dal ’44 su fronti rovesciati contro il nuovo pericolo: il comunismo », conclude Giovanni Fasanella. E dopo che accade? «Andreotti disse che “nessun Paese può scegliersi i vicini, a noi sono toccati i peggiori”. L’anomalia italiana, dal Risorgimento in poi, è tutta qui. Un’area geopolitica con tre linee di combattimento: guerra fredda, mediterranea e arabo-israeliana. Non è un caso che dal 1989 abbiamo perso la bussola. E non riusciamo ad avere ancora una direzione da seguire».