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 2013  novembre 02 Sabato calendario

ALTRO CHE DC, LE TESSERE GONFIATE SONO IL NUOVO PD


[Paolo Cirino Pomicino]

Onorevole Paolo Cirino Pomicino, queste polemiche nel Pd sul boom delle tessere last minute non le fanno venire un po’ di nostalgia?
Se mi vuol far dire che nella Dc la battaglia tra le correnti si faceva a colpi di tessere false la nostra conversazione finisce qui.
Autorevoli boss e semi-boss del suo partito, ai tempi di Mani Pulite, giustificavano le tangenti dicendo che servivano anche a comprare le tessere, per far pesare di più le proprie idee nel partito.
Sciocchezze, chi l’ha detto forse aveva qualcosa da nascondere. No, guardi, nella Dc il problema delle tessere era un problema minore. Ne avevamo meno di un milione, un terzo rispetto al Pci. E comunque erano militanti veri, i nostri e i loro.
Siamo sicuri?
È dimostrato dalla corrispondenza tra numero degli iscritti e voti presi. Per dire, a Napoli il più forte era Antonio Gava, aveva più tessere ma anche più voti. Per accusarlo dicevano “signore delle tessere”, ma era tutto vero, e si vedeva alle elezioni. Noi andreottiani eravamo secondi come iscritti e secondi come voti. E comunque, dia retta a me, i soldi servivano per le campagne elettorali, molto meno per le tessere. Io per diventare deputato dovevo battermi in un collegio con tre milioni e mezzo di elettori.
E quindi queste storie di tesseramenti gonfiati alla vigilia del congresso non li possiamo catalogare come roba da vecchia Dc?
No, però li potete catalogare come roba da nuovo Pd. La Dc era un partito serio, con regole serie. In base al cristianissimo assunto “non ci indurre in tentazione” facevamo della buona prevenzione. Al congresso del 1989, che segnò la fine della segreteria De Mita con l’elezione di Arnaldo Forlani, poté partecipare solo chi si era iscritto diversi mesi prima. Il Pd fa votare, a quanto leggo, gente che ha preso la tessera il giorno prima.
Il laico Pd si fa indurre in tentazione?
È il rischio di chi non è cattolico. Scherzi a parte, qui c’è un problema politico serio, il tesseramento allegro è solo un dettaglio. Sfido il segretario Epifani a indicarmi un solo posto al mondo dove il capo di un partito politico non lo scelgono gli iscritti ma gli elettori, cioè chiunque passi al gazebo quella domenica mattina. Lo trovo un po’ ridicolo. E poi non capisco una cosa: ma perché quella bella ed entusiasta gioventù della Leopolda non si iscrive al Pd e non va a continuare l’interessante discussione nei circoli del partito?
Risponda lei.
La crisi della politica è grave e profonda proprio perché viene meno la funzione dei partiti. È venuto a mancare qualsiasi zoccolo di cultura politica. Questo giochino delle primarie è una follia, guardi che veramente i partiti della Prima Repubblica e quelli di oggi in Europa sono tutta un’altra cosa.
I militanti del Pd potrebbero essere rincuorati da questa sua affermazione.
E sbaglierebbero a rincuorarsi. La Dc era un partito vero, come gli altri peraltro. Le faccio due esempi. Al congresso di Napoli del 1961, Andreotti vota contro Moro e Fanfani che aprono al centrosinistra. Ma poi è ministro nei governi di centrosinistra. Nel 1975 viene eletto segretario il moroteo Benigno Zaccagnini, ma quando Moro fa l’accordo con Berlinguer il governo di solidarietà nazionale lo guida Andreotti.
Non sono classici esempi di consociativismo, in cui nessuno perde mai?
No, è l’esempio di una classe politica che si scontrava duramente su opzioni politiche, ma trovava sempre una sintesi e non strapazzava il partito in nome di guerre personali. Questi del Pd sfasciano tutto in nome di un leaderismo esasperato, che sfocia nell’assemblearismo inconcludente: un solo uomo al comando e poi un’assemblea nazionale di migliaia di membri. La Dc ha governato l’Italia per 40 anni con un consiglio nazionale dove eravamo meno di 200.
Come nasce questo leaderismo?
La messa in soffitta delle culture politiche ha lasciato spazio al leaderismo in tutti i partiti. In questa stagione ha preso il sopravvento il marketing senza prodotto, specialità in cui si sta avviando Matteo Renzi. In America c’è molto marketing, ma almeno ci sono le lobby che scegliendo quale partito appoggiare danno un profilo democratico al confronto politico. Da noi le lobby sono tutte intrecciate tra loro e quindi l’assenza dei partiti determina solo un vuoto occupato da leader veri o presunti. Il marketing è importante per affermare un prodotto buono, ma adesso si pensa che basti da solo per imporre un’offerta politica scadente o scaduta. E questo è il primo frutto malato del leaderismo.
Ce n’è anche un secondo?
Sì, è la selezione della classe dirigente improntata più sulla partigianeria che sulla capacità e sul merito. E quando vince la partigianeria vince la mediocrità.