Sara Monaci, Il Sole 24 Ore 2/11/2013, 2 novembre 2013
L’INCHIESTA DI SIENA FRA ACCUSE E RISCHIO-STALLO
Cosa rimane dell’inchiesta Mps, a quasi un anno di distanza? Il principale dossier riguarda l’acquisizione della banca Antonveneta, venduta a Mps dal Santander per 9,3 miliardi, a cui si aggiungono circa 8 miliardi di debiti che il Monte, senza una due diligence e senza clausole di salvaguardia, dovette accollarsi senza averne consapevolezza. Le indagini si sono chiuse a fine luglio 2013. Le richieste di rinvio a giudizio riguardano 7 persone: l’ex presidente del Monte Giuseppe Mussari e l’ex dg Antonio Vigni, i tre ex sindaci revisori, il capo dell’area finanziaria Daniele Pirondini e dell’area legale Raffaele Rizzi. Nella lista degli indagati si è aggiunto a settembre il consulente legale Michele Crisostomo, per cui ancora non è stata formulata richiesta di rinvio a giudizio. Nella "black list" c’è anche Jp Morgan, accusata di illecito amministrativo, mentre Mps viene considerata parte lesa.
La storia è nota: Mussari voleva creare il terzo polo bancario italiano, spingendosi in una operazione sì costosa ma, dicono gli stessi procuratori, in linea con i prezzi delle scalate bancarie di quegli anni. A causa della fretta non vennero appropriatamente conteggiati i debiti della banca padovana, e la crisi ha aggravato la situazione. Alla fine l’operazione è costata più del previsto. E fin qui siamo all’interno di una scelta manageriale sbagliata.
I pm arricchiscono inoltre il fascicolo con interrogatori significativi, da cui si evince che la politica ha avuto un ruolo importante nell’acquisizione di Antonveneta. E si evince anche qualcosa di più: quella che tradizionalmente viene riconosciuta come una banca (e una città) vicine al centrosinistra, è in realtà il regno del consociativismo: dal centrosinistra al centrodestra, tutti parlavano con i vertici del Monte dei Paschi. A partire dall’ex sindaco di Siena Franco Ceccuzzi. Ad oggi non si intravedono reati, bensì un quadro "sociologico" peraltro noto alla stampa (e ai senesi) da decenni. Anche perché il controllo della politica sul Monte è stato nei fatti: la Fondazione Mps deteneva il pacchetto di controllo delle azioni, e il Comune di Siena ne era il principale rappresentante. Di fatto, il Comune era il padrone della banca. Palesemente. E i sindaci, in modo altrettanto palese, sono stati spesso dipendenti bancari. Una commistione sotto gli occhi di tutti.
Cosa rimane dunque di Antonveneta, sotto il profilo penale? Non ci sono, stando alle attuali carte dell’inchiesta, maxi-tangenti, ma reati societari legati all’aumento di capitale necessario all’operazione, il miliardo di titoli Fresh emessi da Jp Morgan, le cui modalità non sono state comunicate a Bankitalia. Rimangono i reati di ostacolo alla vigilanza, manipolazione del mercato e falso in prospetto. La sostanza: mancherebbero all’appello 76 milioni nello stato patrimoniale di Mps.
Nel frattempo il gip ha impedito il sequestro ai danni di Jp Morgan per 200 milioni, che secondo i pm avrebbe incassato impropriamente canoni di usufrutto da Mps. Il coinvolgimento della banca americana è dunque in evoluzione. Sul dossier Antonveneta, a marzo 2014 ci sarà l’udienza preliminare.
Secondo filone di inchiesta: i prodotti strutturati sottoscritti con Nomura e Deutsche Bank, "Alexandria" e "Santorini", che, secondo la procura, avrebbero causato a Mps 700 milioni di perdite in bilancio. Gli attuali vertici di Mps hanno intrapreso un’azione di responsabilità nel tribunale delle imprese di Firenze, chiedendo un risarcimento danni. E nel frattempo Nomura ha avviato una sorta di contro-azione a Londra, dove è iniziato un contenzioso di tipo civilistico per chiarire la natura del contratto e la sua legittimità.
Dal punto di vista della procura di Siena, la vicenda ruota intorno a due accuse: Nomura è considerata colpevole di usura e truffa per aver imposto il derivato "Alexandria"; gli ex vertici di Mps sono invece ritenuti colpevoli nuovamente di ostacolo alla vigilanza, per non aver chiarito a Bankitalia che il prodotto finanziario serviva a coprire il buco in bilancio di precedenti derivati.
Cosa rimane di queste due accuse? Ancora la questione è in fieri. L’impianto contro Nomura (o meglio, contro il responsabile legale europeo Sadeq Sayeed) rimane, ma intanto il sequestro preventivo da 1,8 miliardi ai danni della banca giapponese, richiesto dai pm è stato bloccato sia dal gip che dal tribunale del Riesame; ora dovrà esprimersi anche la Cassazione. Per quanto riguarda l’ostacolo alla vigilanza ai danni di Bankitalia, è già in corso un processo con rito immediato, che vede imputati Mussari, Vigni e l’ex responsabile finanziario Gianluca Baldassarri. Su Deutsche Bank invece i pm stanno andando più cauti. Non c’è ancora una conclusione sui reati commessi, e a quanto pare i procuratori sembrano intenzionati a cancellare il reato di usura, che già con Nomura ha avuto poca fortuna, lasciando in piedi solo la truffa.
Infine, all’interno del filone sui derivati, c’è un "sotto-dossier" sui manager infedeli e la cosiddetta banda del 5 percento. Gli indagati sono almeno sette. L’accusa è di associazione a delinquere, per aver fatto le creste sulle operazioni finanziarie. Il supposto "capo" era lo stesso Baldassarri, ma il gruppo vede coinvolti sia altri funzionari bancari che broker esterni. Baldassarri intanto, incarcerato preventivamente nella vicenda dell’ostacolo alla vigilanza, è stato scarcerato dopo 6 mesi dalla Cassazione.