Francesco Rigatelli, La Stampa 2/11/2013, 2 novembre 2013
LA MIA MASCHERA SIMBOLO DI LIBERT
[David Lloyd]
È per il ragazzo che era. «Un animale politico, un giovane di sinistra, socialista, più in là del Partito laburista. E ci mancherebbe: ogni buon disegnatore di fumetti lo è». È per quel sogno di gioventù che David Lloyd, ora che ha 63 anni, difende a spada tratta la sua principale creatura, V per vendetta, la cui maschera bianca copre i visi dei rivoluzionari contemporanei, dai movimenti Occupy ad Anonymous, fino a parte dei manifestanti per la casa a Roma.
Lo incontriamo al Lucca Comics, tra centinaia di ragazzi desiderosi di conoscerlo. È seduto nello spazio dell’editore Nicola Pesce, che pubblica i suoi lavori in Italia, e mentre parla si versa un bicchiere di rosso toscano.
Lei è nato vicino Londra dove ha ambientato la storia di V, ora dove vive?
«A Brighton, sulla costa Sud inglese, un bel posto di mare a 50 minuti dalla capitale e a 30 dall’aeroporto di Gatwick: una posizione molto buona se vuoi fuggire dal paese».
Lei scherza, ma alla base del suo fumetto c’è questa paura per il futuro della situazione politica.
«Nel 1977 vivevo a Londra e mi dedicavo a delle serie tv pre-natalizie. Ancora prima dell’arrivo di Margaret Thatcher, a suo modo un’innovatrice, il governo era molto chiuso e rigido. Quello è lo sfondo delle mie creazioni. Una delle maggiori ispirazioni mi venne da Wrath of the Goods nel fumetto Boys world di Ron Embleton, uno dei più dark e sanguinolenti mai scritti. Nel 1981 la Marvel, tramite l’editor Dez Skin, mi chiese di proporre una visualizzazione del personaggio Night Raven. Ci lavorai con l’amico Alan Moore e con lui poi, una volta che Skin si mise in proprio e ci domandò altri progetti, partorimmo l’idea di V per vendetta. Ci venne naturale ambientarlo in un Regno Unito fascista».
Erano i primo Anni 80 e voi immaginaste la storia di V nel 1997, che allora vi sembrava il futuro. Ma non è andata poi così male.
«Dal punto di vista di allora, da giovane socialista, forse non così tanto, ma certo mancano molti diritti e altri sono in pericolo».
V è un liberale radicale, quasi un anarchico, ma pure un demagogo, non è una contraddizione?
«Non si tratta di un personaggio semplice, è un uomo vero, che vuole creare e distruggere al contempo».
Può essere considerato un terrorista?
«Lo è. Ma dobbiamo contestualizzarlo in quella situazione. Se vivi nel nazismo e vuoi cambiare la situazione che fai? Devi cercare la rivoluzione. V nel fumetto e nel film successivo indossa la maschera di Guy Fawkes, il personaggio storico che nel 1605 tentò di far saltare in aria la Camera dei Lord e re Giacomo I con tutti i suoi».
C’erano dentro anche i parlamentari comuni perché si trattava della seduta per l’inaugurazione dell’anno. Sarebbe stato un massacro.
«V è un matto proprio perché imita Guy Fawkes, lo ricorda con la maschera, veste in modo strano, sconta un passato in un fantasioso campo di concentramento del regime britannico. E s’innamora di Evey, interpretata da Natalie Portman nel bel film di James McTeigue sceneggiato dai fratelli Wachowski».
Un matto la cui maschera è ora un simbolo per i rivoluzionari di mezzo mondo, che ne pensa?
«Tutti possono usarla. E in sé significa qualcosa di buono: la resistenza all’oppressione. Non ha connotati ideologici particolari. Per questo penso sia tanto indossata».
Anche per celare il proprio volto. Serve una maschera per protestare?
«No, ma è utile. E non c’è ragione per identificare tutti quelli che protestano. Indossare una maschera a volte è una libertà».
Insomma, nessun dubbio su come viene usata?
«La maschera non ha proprietà, non è mia, non è di V, è di chi la indossa».
Forse non lo sa ma per esempio a Roma è stata usata anche da persone violente vicino a manifestanti pacifici per il diritto alla casa. Questi atteggiamenti non vanno condannati?
«Non sono un giudice, non è la mia posizione. Sono contento che la maschera venga usata. La violenza spesso è vicina alla protesta. E penso che chi la usa lo fa perché arrabbiato non per gioco».
Ora si dedica a altri progetti, ma non le chiedono di continuare a disegnare V?
«La sua storia è finita molti anni fa. E io non la riapro per motivi commerciali. Da disegnatore poi ho creato Hellblazer e Aliens-Glass corridor e ora vendo Aces weekly su internet, settimanale di fumetti di miei amici, diventando di fatto editore. In Italia lo stampa Nicola Pesce».
Cosa significa questo mestiere per lei?
«È uno dei modi migliori per raccontare storie. Mi piacerebbe che fosse più riconosciuto: negli Usa hanno successo solo i supereroi».
Scusi ma anche V alla fine lo è.
«No, come ha già chiarito, è imperfetto. E, per esempio, in amore assai fragile: Batman e Superman sono d’altro tipo».
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