Luigi Grassia, La Stampa 2/11/2013, 2 novembre 2013
IPOTESI RUSSA PER IL DOSSIER ALITALIA
Se l’Alitalia del presente parla un po’ francese (al 25%) quella del futuro potrebbe parlare molto russo (in ipotesi, fino al 49,9%). Siamo ancora ai pour parler (o alla corrispondente espressione russa) ma per intanto una delegazione di Alitalia volerà a Mosca la prossima settimana per colloqui esplorativi con la locale compagnia Aeroflot, a caccia di un partner internazionale forte, dopo che Air France-Klm ha gelato le aspettative di partecipazione all’aumento di capitale.
Ma ai russi l’Alitalia interessa? Ancora di recente i vertici dell’Aeroflot hanno escluso l’esistenza di trattative per un acquisto di quote azionarie. Però la stessa Aeroflot non ha smentito l’ interesse a una partnership industriale con la nostra ex compagnia di bandiera, e si sa che l’azienda russa ha studiato e conosce bene il dossier Alitalia.
È un fatto strategico. Acquisendo una compagnia importante (ancorché problematica) come Alitalia, un operatore extracomunitario come Aeroflot si creerebbe una testa di ponte nell’Ue, dotata di tutti i vantaggi del vettore comunitario.
Questo rende credibile l’interessamento della compagnia russa, al pari di quello della Etihad di Abu Dhabi e della cinese Hainan, tutti nomi che sono stati accostati a un ipotetico salvataggio dell’Alitalia. Perché di questo si tratta, di un salvataggio; la crisi che vive oggi la nostra maggiore compagnia aerea potrebbe anche essere terminale, se non si trova un partner forte. Un partner che rispetto ad Air France dovrebbe avere (in un mondo ideale) più soldi da scommettere ma anche più volontà di accettare Alitalia come partner alla pari, anziché come semplice appendice regionale di una rete più grande. Sarà chiedere troppo?
Gregory Alegi, docente di gestione della compagnie aeree alla Luiss Business School (e direttore di DedaloNews.it), sottolinea che la partecipazione azionaria di Aeroflot o di altri operatori extraeuropei in Alitalia avrebbe il vantaggio collaterale di garantire la famosa italianità (garantirla in modo formale, per lo meno); infatti nessun acquirente extraeuropeo avrebbe mai interesse a salire oltre il 49,9% delle azioni di Alitalia.
Spiega Alegi: «Per le regole dell’Ue, una compagnia aerea è europea se il 50,1% del controllo è di azionisti comunitari. Essere un vettore europeo è importante, perché significa poter coprire tutte le rotte entro i confini dell’Unione. Una compagnia europea può essere sottoposta a controlli tecnici ed economici, ma non le si può opporre alcun “no” a priori». Invece Aeroflot, Etihad, Hainan eccetera non hanno questa possibilità illimitata di operare in Europa; possono però acquisire il 49,9% di una compagnia dell’Ue, ma devono farlo evitando di salire oltre quella quota, perché altrimenti l’Alitalia diventerebbe (a sua volta) una compagnia a controllo extracomunitario, e così smetterebbe di essere europea e perderebbe i suoi vantaggi nell’ambito dell’Ue.
Se teniamo tanto all’italianità di Alitalia, con la soluzione Aeroflot potremmo essere tutti contenti, almeno in termini numerici? Il 50,1% sarà sempre italiano. Però lo stesso Alegi sottolinea che si tratterebbe di una foglia di fico, e fa l’esempio della Swissair: «Essendo svizzera, la compagnia era extracomunitaria. Si comprava al 49,9% compagnie europee come Sabena o Volare per farsi una rete di controllate nell’Ue. Queste compagnie restavano formalmente indipendenti, ma poi attraverso patti parasociali venivano di fatto controllate da Swissair». Se si adottasse una soluzione analoga per far sopravvivere l’Alitalia nell’ambito del gruppo Aeroflot, sarà essenziale verificare i termini esatti dell’accordo.
Fra i sindacati, la Fit-Cisl col segretario Giovanni Luciano biasima «una strategia di Air France fin troppo evidente» e afferma che «Alitalia fa bene a cercare altre alleanze internazionali».