Rachid Khadiri Abdelmoula, La Stampa 2/11/2013, 2 novembre 2013
HO DETTO NO AL GRANDE FRATELLO
Vendo accendini e studio Ingegneria: che me ne faccio della popolarità del Grande Fratello? No, non ci vado in tv, preferisco l’università.
Preferisco progettare palazzi e il mio futuro di ragazzo normale, ex «vu’ cumprà», con un lavoro vero. Perché chi tiene duro e fa sacrifici, un lavoro lo trova.
I conti in tasca e gli amici mi danno del pazzo: un ingegnere affermato guadagna 2 o 3 mila euro al mese. Una star della tv decine. Motivo numero uno. Motivo numero due: il successo è questione di fortuna, non di fatica, Rachid Khadiri Abdelmoula, 27 anni da Khouribga, Marocco, vuoi sputarci sopra? Motivo numero tre: gli assegni con tanti zeri fanno gola a chiunque. Figuriamoci a me, «marocchino» per 16 anni, passati a chiedere l’elemosina nelle vie di Torino, prima per mangiare, poi per pagarmi le tasse universitarie. I chilometri nelle gambe a vendere accendini e braccialetti. I denti malandati della povertà.
Queste tre formidabili ragioni avrebbero potuto dare una svolta alla mia storia. Ma io sono Ingegnere. Ho studiato di notte per ottenere questa laurea al Politecnico. Il successo all’improvviso non mi ha mai convinto. Anche se gli autori del reality hanno insistito perché partecipassi all’edizione 2014 del Gdf, ho detto no. No, senza ripensamenti. Perché? Se avessi voluto diventare famoso avrei scelto il Dams. La fama è frivola e vola via in fretta, la laurea resta. Ciò che vale costa caro, diceva il mio professore delle superiori, all’Itis Avogadro. Non raggiungi chissà che traguardo se diventi per qualche mese star della tv. Io voglio crescere e l’università non è fatta per perdere tempo.
È vero, non sono mai stato affascinato dalla televisione. Non ho tempo per guardarla. Sarà per questo che gli amici mi dicono di tentare ma io non li capisco: «Sei simpaticissimo, sei intelligente. Magari sfondi, ti rendi conto?», mi ripetono alcuni. Neppure la signora della Endemol, la società di produzione del Grande Fratello, ci credeva: «Ci dice di no? Non è possibile. Ci pensi ancora. Verremo a Torino per dei provini, cerchiamo proprio uno come lei». Giù la cornetta. Poi un’altra telefonata. Segue una mail, a cui devo ancora rispondere.
Ma io non sono per queste cose. I miei valori sono altrove. Non mi riconosco neanche un po’ in una trasmissione che non trovo seria ed educativa. Cosa ci andrei a fare? A recitare? Il successo è un mondo di nicchia, lo stringono in pochissimi. Gli altri si illudono, poi rimangono spiazzati quando la fama svanisce.
Ai sogni bisogna obbedire. Il mio è di fare l’ingegnere con la cravatta. Come mi vedo tra dieci anni? Spero di aver svoltato. Non in uno studio televisivo, ma in uno di progettisti. Spero di aver dimenticato la strada, quelle nottate fuori dai teatri a fare a gara con le «madame» a chi dice meglio «cerea», salve in piemontese. Di avere ormai alle spalle quelle camminate interminabili, molleggiando sulle mie Adidas bianche, con gli accendini in mano, a ripetere «mi lasci qualcosa per la causa marocchina?». Sarebbe un paradosso nascondere che per noi giovani il periodo è nerissimo. Le passeggiate da vu’ cumprà mi hanno insegnato che per ottenere qualcosa non devi stare mai fermo. La storia è ciclica, dopo le discese ci sono le crescite economiche. L’incognita è sul quando. Spero sia presto, il più presto possibile, perché noi giovani vogliamo solo lavorare.