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 2013  novembre 03 Domenica calendario

SCANCELLIERI


È ufficiale: il ministro della Giustizia non conosce o non capisce il dovere di imparzialità a cui è tenuto ogni membro del governo e della Pubblica amministrazione. Non conosce o non capisce l’art. 97 della Costituzione: “I pubblici uffici sono organizzati... in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione”. E neppure l’art. 98: “I pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione”. Sicuramente conosce, ma non capisce (come la gran parte dei suoi colleghi di Casta), l’art. 3: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Ma anche Napolitano e Letta jr., per non parlare dei partiti della maggioranza, hanno idee molto confuse in materia. Infatti il primo tace (e meno male, visto quel che riuscì a dire per difendere un altro ministro da cacciare, Alfano). E il secondo biascica che la ministra “chiarirà tutto”: come se non fosse tutto abbastanza chiaro. Lei intanto ha capito che la farà franca e ripete che sparlare con la moglie di un arrestato – a sua volta padre di tre arrestati – dei magistrati che hanno disposto gli arresti, e poi raccomandare presso i sottoposti una delle persone arrestate, è cosa assolutamente normale per un ministro della Giustizia. Anzi, “doverosa”. Anzi, non farlo sarebbe “colpevole omissione”. Non le passa neppure per l’anticamera del cervello che intercedere per una detenuta amica sua, figlia di un amico suo, fra l’altro datore di lavoro di suo figlio, significa tradire i doveri di imparzialità e di servizio all’intera Nazione. Ed è ridicolo affannarsi a citare altre analoghe “segnalazioni” come prova che lei tratta tutti i detenuti allo stesso modo. Se la famiglia Ligresti non possedesse il numero di cellulare dell’amica ministra, questa non avrebbe mai potuto “segnalare” il caso di Giulia, malata di anoressia, ai vicedirettori del Dap. E questo non fu soltanto un trattamento privilegiato, ma anche un atto superfluo (la Procura di Torino, motu proprio, aveva subito disposto una perizia sulle condizioni di salute della reclusa, giudicate incompatibili con il carcere). Peggio: un attestato di somma sfiducia nell’amministrazione penitenziaria e giudiziaria che la Cancellieri dirige.
Il messaggio che lancia con queste scriteriate dichiarazioni è terrificante: la ministra della Giustizia pensa che i magistrati e i funzionari delle carceri siano dei sadici aguzzini che se ne infischiano abitualmente dei detenuti a rischio, al punto che senza, le sue personali segnalazioni per questo o quel detenuto, nelle carceri italiane sarebbe una strage quotidiana. Sul sito del ministero, in alto a sinistra, c’è una frase in grassetto: “Percorsi chiari e precisi: un tuo diritto”. Ritiene la ministra Cancellieri che quello seguito per Giulia Ligresti sia un “percorso chiaro e preciso”? O non somiglia piuttosto alla classica scorciatoia, alla solita corsia preferenziale di cui troppo spesso godono gli amici degli amici nel Paese che punisce la conoscenza e premia le conoscenze? La questione è tutta qui. Altro che “critiche da matti”, altro che “attacchi falsi”, altro che “paese di Cesare Beccaria”. Quello della Giustizia è il solo ministro ad avere rilievo costituzionale: l’art. 110 della Carta gli affida il compito di curare “l’organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia”. Se la Guardasigilli ritiene che quei servizi siano così mal organizzati da lasciar morire come le mosche i detenuti malati, li riformi. Lasci perdere, per decenza, le citazioni di Stefano Cucchi, i cui familiari purtroppo non conoscevano nessun ministro. E pubblichi subito il suo numero di cellulare sul sito del ministero, affinché tutti gli altri detenuti malati possano chiamarla, con pari opportunità rispetto a Giulia Ligresti e famiglia. Ma, per favore, non parli più di “dovere d’ufficio” e di “coscienza a posto”. In quale posto: a casa Ligresti?