Armando Torno, Corriere della Sera 3/11/2013, 3 novembre 2013
I DONI DI CARLO MAGNO E IL CALICE CON 258 DIAMANTI RUBATO DA NAPOLEONE
Il Museo del Duomo di Milano custodisce un tesoro. Qualcosa di unico, accumulato nei secoli; anzi una collezione degna di essere considerata immaginifica. Gianantonio Borgonovo, arciprete della cattedrale e noto biblista, sottolinea: «È una preziosa raccolta di oggetti utilizzati nelle sacrestie, sugli altari o durante le celebrazioni. Viene dalle antiche basiliche milanesi che il Duomo ha rimpiazzato o dal Duomo stesso. Si tratta di piccoli capolavori normalmente realizzati in oro, argento o altri metalli preziosi (non mancano però tessuti o stoffe damascate); sono tempestati di gemme, pietre dure o brillanti». Si potrebbe aggiungere qualcosa sulle decorazioni, ma si tratterebbe di stilare un inventario infinito. Aggiunge Borgonovo: «Dalla diligente e rigorosa conservazione del ricco patrimonio emerge il suo valore culturale: in esso si riflette la storia della tradizione artistica milanese».
Per meglio comprendere di cosa si tratta, conviene guardare il tesoro con occhio cronologico, o quanto meno ricordare che si accumulò lentamente e subì tutte le vicende dei tempi. La notizie della sua formazione risalgono al IX secolo e registrano le ricche donazioni alle basiliche già esistenti prima della cattedrale da parte di Carlo Magno (742-814), di suo figlio Ludovico il Pio (778-840), ma anche di Uberto Crivelli (ca. 1120-1187), poi papa Urbano III. Il primo inventario precede la consacrazione del Duomo (1416) e risale al gennaio 1400. Durante il secolo XV non ne mancano altri: grazie ad essi abbiamo notizia di cimeli ancora oggi conservati quali la Situla di Gotofredo e la Coperta dell’Evangeliario di Ariberto; vi è inoltre una tavola processionale per la festa della Candelora attribuita a Michelino da Besozzo, arrivata in Duomo nel 1418. Per fare altri esempi, diremo che nel 1447 entra nel tesoro il cosiddetto ciloster, vale a dire un candelabro pensile per sostenere il cero pasquale. Durante il periodo della Repubblica ambrosiana (1447-1455) giunsero numerose preziosità: resta il calice gotico d’avorio.
Poi vanno registrate le pause. Nel 1500, per esempio, Ludovico il Moro confisca gran parte del tesoro: la difesa del ducato è prioritaria. E nel 1524 furono venduti gli argenti della Madonna dell’Albero per soccorrere gli appestati. Lo stesso san Carlo, che ordina un inventario, fece fondere argenti minori per fabbricare suppellettili di maggior misura. Ma sono fatti marginali se paragonati ai saccheggi di quel ladro di Napoleone. Rubò a man salva statue argentee, i calici d’oro del cardinale Ludovisi e di Leopoldo d’Asburgo (con 258 diamanti!), lo scrigno in argento dorato con bassorilievi in oro, perle e pietre preziose di Maria Teresa d’Austria.
Poi il tempo colmò quei vuoti. Il cardinale austriaco di Milano, Gaisruck, tra il 1835 e il 1843 donò raffinati argenti: un calice, un ostensorio e una pisside; nel XX secolo si registrano le donazioni di Schuster e Montini, ma c’è anche la Croce peruviana di acquamarine offerta da papa Giovanni XXIII nel 1962. Qualcosa, comunque si perde: nel 1905 il beato cardinale Ferrari «lascia uscire» — evidenzia Borgonovo — un calice argenteo di Pio IV (opera toscana della seconda metà del XVI secolo). E qualcosa si salva: è il caso del restauro del 1935 dell’Ostensorio tardo-gotico (inizio XV secolo) per iniziativa del cardinal Schuster.
Il tesoro ha la sua storia e riflette la storia. Il Duomo è un riferimento da oltre sei secoli e i cimeli provengono ad esso da più parti. Prova ne è la Croce di Chiaravalle, giunta in deposito al Capitolo nel 1985 da Santa Maria presso san Celso e poi, nel 2010, passata alla Veneranda Fabbrica del Duomo. Sarà visibile nell’esposizione attuale. Insieme a tanti frammenti che raccontano le vicende artistiche, religiose e civili di una capitale come Milano.