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 2013  novembre 03 Domenica calendario

QUEI RAGAZZI A SCUOLA NELL’HOTEL DEI MALATI DI ALZHEIMER


La Rina spende la pensione in serrature. Ne ha cambiate dieci: vive sola a Milano, alloggio popolare di 15 metri, convinta che i vicini entrino a gettare il malocchio e rubarle i soldi. Anche la Tilde, a Besana Brianza, vive sola, con l’ossessione dei ladri tipica dell’Alzheimer esordiente. La Rina ha le assistenti sociali. La Tilde, che a volte lascia aperto il rubinetto e allaga la casa, ha la sua amica Anna. Ma la figlia di Tilde, figlia assente pur abitando a poche centinaia di metri, non vuole che Anna frequenti la madre. Allora fanno così: Anna va nel parchetto vicino, con il suo cagnolino. Il cane abbaia, Tilde lo sente e raggiunge l’amica passin passetto. Vanno a messa insieme, a bere il caffè. La Tilde vorrebbe passare l’inverno in una Rsa (residenza sanitaria assistita) e poi tornare a casa. Ma le Rsa di solito accettano ricoveri definitivi. Tilde è una donna difficile. Forse non starebbe volentieri neanche all’Hotel A, nonostante i tempi elastici della reception e quel profumo di minestrone fatto in casa che accoglie i visitatori quando viene sera.
In una piazza centrale di Gallarate, davanti a un piccolo parco, c’è l’Astoria, storico hotel con la pensilina verde e i clienti di un tre stelle non lontano da Malpensa. Su due piani, il dottor Marco Predazzi e la fondazione Il Melo hanno aperto l’Hotel A, che sta per Alzheimer. Un progetto unico. Venti ospiti con un grado lieve-medio di malattia, un gruppo di operatrici sotto la regia di Fiorella Molon. Al terzo piano, le camere da letto. Qui al primo, il grande spazio dove si passa la giornata. Racconta Fausto: «Una volta era il salone dei banchetti. Io ci venivo per le riunioni dei commercianti». La famiglia di Fausto fabbricava cestini e ombrelli. Da quando è arrivato, di farmaci per l’agitazione e l’aggressività non ne prende. Una parete di grandi finestre sul viavai della gente. Dentro, atmosfera rilassata, divani, musica. Un giardinetto d’inverno con percorso per camminatori compulsivi. Un angolo per la ginnastica e la danza. E poi la cucina a vista, cuore della casa. Gli ospiti aiutano a preparare i pasti. Ecco Giovanna, la Marilyn del gruppo, che corteggia il finto burbero Luigi che prepara la tavola. Maria si illumina se le proponi un valzer. Francesca, anima in pena, in dialetto veneto annuncia l’ennesima falsa partenza: «Vi saluto, torno al mio paese, Sandrigo, mia mamma diceva “così è la vita, più storta che drita ”». Ecco Valentina e Dino, marito e moglie inseparabili. «Gli amici dicevano: ma vai all’ospizio? — racconta Dino —. Macché. Vado in albergo». Il dottor Predazzi ha pensato a questa sistemazione anche per le coppie con caregiver (il familiare chi si prende cura del malato) in difficoltà. Anche per soggiorni limitati. Siccome l’acciaccato Dino, restauratore di mobili in pensione, si prende un po’ cura di Valentina (che cammina con il deambulatore), a fine mese c’è lo sconto sulla retta (75 euro, come in Rsa). Ogni tanto Dino scende in piazza, alla domenica chi può va a messa uscendo dal grand hotel Alzheimer.
Anche Daniele Rizzi, 17 anni, ricorda Dino e Valentina inseparabili. Studente al liceo classico Crespi di Busto Arsizio, indirizzo scienze umane, Daniele e sei compagne hanno fatto lo stage all’Hotel A. «L’Alzheimer non lo conoscevo. Mi ha colpito l’affetto e l’impegno degli operatori, io non ci riuscirei. È frustrante. Dopo qualche giorno pensavo di aver creato un buon rapporto con il signor Luigi, fino a quando mi ha detto: “Ma noi ci conosciamo?”. È duro questo senso di vuoto, ricominciare ogni giorno». Meno duro ricominciare nel centro della città, con gli gnocchi da impastare, le finestre sulla piazza, l’apertura agli studenti. Anche se soltanto 7 su 120 hanno optato per l’Hotel Alzheimer, racconta l’insegnante di psicologia Caterina Chiodini, un’altra veterana del Melo, con Predazzi pioniera dei laboratori intergenerazionali della cooperativa nata nel 1980 da un gruppo di volontari che un’estate cominciarono a suonare la chitarra all’ospizio dei vecchi.

Una carrozzina per due
Vecchi e giovanissimi: l’entrata del Melo cooperativa è un parco giochi (aperto alla città). L’asilo e la Rsa condividono lo stesso giardino, le galline, i pavoni. L’idea di unire in un progetto i più piccoli e i più fragili (gli ospiti del reparto Alzheimer) è del 2005: «Avevamo notato quante somiglianze ci fossero — racconta Caterina —. Se l’anziano con l’Alzheimer urlava, i bambini del nido non si spaventavano, se i vecchietti perdevano un po’ di saliva loro non ritiravano la manina». E poi mezzi di locomozione simili: carrozzine e passeggini. «Abbiamo cominciato coinvolgendoli nella cura dei conigli, poi nell’attività motoria, nella messa in scena di storie come i Sette caprettini». Con i bambini delle elementari, un giorno a settimana in orario di scuola, è stato più problematico. Ma oggi che ha 25 anni ed è ingegnere ambientale, Elena Camarda ricorda quell’esperienza come positiva: «Avevo 8 anni, mi è piaciuto molto. Facevamo lavoretti insieme. Mi ricordo i malati di Alzheimer che ci prendevano le mani». Esperienza valida anche per la scuola di oggi? «Certo. Non esistono solo gli smartphone». Ma «sono cambiati i tempi — dice Caterina — nella nostra società i ragazzi sono molto più lontani dagli anziani con demenza». Famiglie meno allargate, nonni babysitter in gran forma allontanano i passeggini dai deambulatori. A meno che l’Alzheimer non entri in certe case come quella raccontata da Flavio Pagano nel bellissimo Perdutamente (Giunti). La nonna e il nipotino Piernunzio che giocano a carte… senza le carte. «È successo veramente - ricorda Flavio - una partita tra mia madre e mio figlio piccolo». Fingevano di avere le carte in mano, di fare scopa. «Un gioco fatto di niente in cui si divertivano pazzamente». Piernunzio: «Non imbrogliare nonna». E lei ridendo: «Io non imbroglio! Sei tu che mi guardi le carte». Dice Pagano che la smemorata Napoli ha molte affinità con l’Alzheimer. Allora perché mettere in piedi una rete di servizi per le persone con demenza diventa un atto eroico?

I quadri di Bernardino
Patrizia Bruno, geriatra alla Asl Napoli 2 di Giugliano, è il motore dell’associazione Amnesia. Hanno organizzato un Caffè Alzheimer, punto di incontro per malati e familiari, a Villa Ammaturo, un fortino sequestrato alla camorra dove i boss, per fare la guardia di notte, sguinzagliavano tigri e leoni. Il consiglio comunale è tuttora sciolto per infiltrazioni. Terra di frontiera anche per l’Alzheimer. Qui Patrizia è riuscita a dar vita al primo centro diurno per dieci ospiti, che dovrebbe aprire la prossima settimana nella Rsa Il Quadrifoglio, con psicologi, terapisti ed educatrici. In mancanza d’altro sul territorio si riempiono di ospiti le cosiddette «case albergo per anziani» come la Domus Flegrea di Varcaturo, ex hotel che un infermiere e la figlia neo-psicologa hanno convertito in casa di riposo. Il modello non è l’hotel A. Anzi. Sulla carta, e nella cura, l’Alzheimer resta fuori dal cancello, oltre il parco con i prati pettinati e i pini marittimi. In realtà, molti di questi anziani avrebbero bisogno di altro. Sandro è andato a fare un giro e ha deciso che in posti del genere non porterà la sorella. Giulia è a casa, con due badanti, una per il giorno (una giovane ucraina) una per la notte (una signora del luogo). La dottoressa Bruno mette in rete le famiglie. A casa di Antonietta adesso si ritrovano sette signore con demenza, due volte alla settimana, per fare riabilitazione cognitiva con psicologa e terapista, sul tavolo le foto di sette vite per provare a riannodare i ricordi.
A mille chilometri di distanza, il signor Bernardino ne tiene annodati due. «Germania» e «biodiesel», le due parole che gli sono rimaste sulle labbra. Germania è dove ha incontrato sua moglie. Biodiesel è l’ultimo progetto a cui ha lavorato. Bernardino e sua moglie, come Donato e la figlia Elisabetta, hanno partecipato al progetto di «arte visiva e arte terapia» promosso dalla fondazione Manuli (con il sostegno di Banca Intesa San Paolo). «Due passi nei musei di Milano», protagonisti gli ospiti del Caffè Alzheimer organizzato dalla Fondazione. Prima le visite nei musei della città, poi il laboratorio dove trasferire le emozioni e dar vita alle proprie opere. Fino a metà novembre, alle Gallerie d’Italia in piazza della Scala, accanto ai capolavori di Lucio Fontana sono esposti i «tagli» di Bernardino (una rielaborazione della «Luna a Venezia») e le composizioni dei suoi amici. L’altro giorno davanti a un grande tappeto persiano del Poldi Pezzoli il signor Donato, ex disegnatore alla Breda appassionato d’arte, mi diceva che «a volte bisogna sentirsi normali, non si può sempre essere anormali». Elisabetta sua figlia dice che l’esperienza di arteterapia familiare è stata enorme. «Ho riscoperto mio padre, ho baciato per la prima volta mia sorella».
Sarebbe piaciuto anche ad Anna Maria. Faceva la vetrinista alla Rinascente. Poi molto volontariato per la parrocchia di San Simpliciano, banchetti di beneficienza con vasi e allestimenti megagalattici, ricorda l’assistente sociale Anna Garbin. Alla fine ci rimetteva lei. È arrivato lo sfratto. La parrocchia l’ha aiutata: casa più piccola, stesso stabile popolare. Ma l’Alzheimer ha accelerato. L’hanno trovata sul pavimento, completamente persa. Non c’erano i soldi per una badante. Da maggio Anna Maria sta nella Rsa di via dei Cinquecento. È convinta di essere lì per aprire un nuovo negozio, a piedi scalzi nelle vetrine della sua Rinascente.
Michele Farina
mfarina@corriere.it
@mfarina9

(5 - continua)