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 2013  novembre 03 Domenica calendario

SUZANNE VALADON, LA MADRE DI UTRILLO CHE DA MODELLA SI FECE PITTRICE DI NUDI


Il suo nome di battesimo era Marie- Clémentine. A Montmartre la conoscevano come Maria. Ma è il nome d’arte (suggerito ironicamente da Toulouse-Lautrec) il dato più vero di una biografia che lei cercò, fin da bambina, di abbellire e mistificare. Suzanne come Susanna, la bellezza biblica che i Vecchioni spiano nuda. Susanna era ignara di essere guardata; Suzanne invece dai quindici anni aveva fatto del corpo uno strumento di lavoro. Occhi blu, pelle luminosa, viso d’angelo e forme procaci, benché tascabili (era alta un metro e cinquan-taquattro), Valadon divenne la modella prediletta dell’aristocratico Puvis de Chavannes (che la notò quando lei, figlia di una lavandaia, gli consegnò una cesta di biancheria pulita), di Auguste Renoir, di Zandomenghi, De Nittis e molti altri. Per quindici anni posò negli atelier dei pittori, diventando ninfa, bagnante, bevitrice ubriaca, perfino efebo. Li osservava miscelare pigmenti e maneggiare pennelli, sfogliava i loro libri (folgorata dai disegni di Dürer). Fu la scuola che non aveva mai frequentato: cacciata dalle suore per cattiva condotta, a nove anni disegnava sul marciapiede col carbone rubato alle caldaie. Aveva già deciso che il suo futuro era dall’altra parte del quadro.
All’inizio, si limitò a disegnare. La sua prima modella fu lei stessa: nel primo autoritratto a pastello, a mezzo busto a 18 anni nel 1883, ostenta bocca imbronciata e sguardo serio e indagatore. Valadon continuò a ritrarsi per tutta la vita, e con audacia si raffigurò, a seno nudo, anche nel declino fisico della senilità. Ma il modello preferito divenne il figlio Maurice, che era nato – come lei all’arte – nel 1883. (Senza padre, come lei). Bambino, lo faceva posare nudo in camera e sul letto. Faceva posare anche la madre Madeleine. Rugosa, deturpata da una vita avara: vedova di un falsario condannato ai lavori forzati, madre sola di una bastarda, aveva cresciuto con pena la figlia – prima nel Limousin, dal 1870 a Parigi. Valadon era una ragazzina di strada – precoce, insolente, maliziosa. Avida di lusso e di piacere, si era votata all’allegria, rifiutando la miseria cui sembrava predestinata. I suoi disegni non somigliavano al personaggio frivolo, leggero ed erotico che interpretava nei caffè di Montmartre, sperperando amore e denaro. Il suo tratto era duro, realistico, impietoso. In seguito dissero, per farle un complimento: virile. I pittori per cui posava non presero sul serio le sue ambizioni artistiche. Il bisbetico Degas, per cui mai posò, trovò invece i suoi disegni “terribili”. Cioè potenti, disturbanti, geniali. Ne appese uno in sala da pranzo. Ne acquistò altri 16, le insegnò ciò che sapeva, la incoraggiò con la sua stima e le regalò la sua sorprendente amicizia. Così lei si convinse a insistere. Espose i primi disegni nel 1894. Volubile nella vita, nel lavoro dimostrò fedeltà e una volontà feroce. Sono una bugiarda, ammise, solo nella pittura dico la verità.
Dopo il 1892 passò a dipingere a olio: ritratti di familiari, amici, amanti, gatti, paesaggi, nudi. Fu ammessa, unica donna, alla Societé Nationale des Beaux-Arts. All’inizio del ’900 espose in qualche collettiva e al Salon d’Automne; Berthe Weill le offrì la sua galleria, qualche amatore la elogiò, ma vendeva un disegno per 3 franchi e le sue tele non avevano mercato. Estranea alle mode e alle teorie (fra i contemporanei ammetteva solo l’influenza di Gauguin), non cercava di sedurre né di piacere. Le rimproveravano il realismo crudo e aggressivo (che ricordava Degas e Toulouse-Lautrec), i colori aspri, il tocco violento, la brutalità delle forme. O forse altro. I collezionisti ritenevano disonorevole acquistare i quadri di una donna.
Il lanciatore della rete è del 1914. Per Valadon, il nudo era la pittura stessa. La maggior parte dei suoi dipinti raffigurano nudi. Quasi tutti femminili: scontrose bambine del quartiere, grevi prostitute, cameriere sfasciate, mulatte disinibite. Nudi mai sensuali – anzi, quasi respingenti. È stato detto che “cantano con voce roca”. Questo invece è un cantico, una coreografia danzata e sognante, un inno al corpo maschile.
La composizione – monumentale – misura due metri per tre. Le tre figure, atletiche, vigorose e solenni, voluttuosamente circondate da una linea nera, sono in realtà una sola, colta da vari punti di vista e in diversi momenti della stessa azione: il lancio della rete nel mare, di un blu vetrificato e minerale come una pietra preziosa. Il soggetto è infatti un pescatore: osservato durante una vacanza in Corsica nel 1913, quando Valadon disegnò gli schizzi preparatori. Ma la natura è sintetizzata in un paesaggio astratto di rocce dominato da una montagna rosa, e il mestiere umile e il gesto plebeo sono raffigurati con la ieraticità di un rito classico. Ciò le aveva insegnato il suo maestro Puvis de Chavannes (il cui Povero Pescatore aveva suscitato la riprovazione accademica nel 1881). Anche l’assenza di profondità e la ripetizione ritmica e musicale della figura riecheggiano Puvis de Chavannes (che aveva fatto la stessa cosa nelle Fanciulle sulla riva del mare, 1879). Valadon però compie un’appropriazione più significativa. Nel Lanciatore per la prima volta nella storia della pittura la modella- musa è diventata il pittore e il modello l’oggetto del suo desiderio. La vecchiona adesso è lei (ha 49 anni), e la Susanna della cui radiosa carne l’artista si bea è André Utter, il suo amante – 21 anni più giovane di lei e 3 di suo figlio. Oggi è noto solo per la turbolenta relazione con lei: ma l’avvenente Utter, aspirante pittore che la ammirava, le aveva restituito il desiderio di dipingere, spento dall’indifferenza del pubblico. Posava per lei dal 1909. Valadon lo aveva perfino esaltato come Adamo nell’Eden. Il lanciatore è il suo ultimo nudo maschile: dovette considerarlo definitivo e perfetto, perché non ne dipinse mai più. Può considerarsi anche la sua dote di nozze: suscitando scherno e scandalo, Valadon sposò Utter in quello stesso 1914, quando fu mobilitato per la guerra. Non sapeva ancora che il suo etilico figlio, Maurice Utrillo, sarebbe presto diventato uno dei pittori più pagati del mondo (nel 1926 un Utrillo poteva spuntare 50.000 franchi), rendendo la bastarda della lavandaia talmente ricca da poter comprare un castello del XIII secolo e far dormire l’amato cane sulla sua pelliccia. Il lanciatore, presentato al Salon des Indépendents, non trovò invece acquirenti.
Negli anni ’20 Valadon aveva un agente ed esponeva regolarmente, ormai rispettata dai critici: ma non vendeva e molti la consideravano solo “la madre di Utrillo”. Non fu mai gelosa del successo del figlio, di cui era stata maestra. Smise di dipingere, limitandosi a quadretti di fiori che regalava alle amiche. Visse abbastanza da vedere nel 1937 il Lanciatore acquistato da un museo pubblico (con Adamo ed Eva e Nonna e nipote). Soddisfazione tardiva. Le pittrici si apprezzano meglio da morte, e Valadon lo capì: si spense l’anno dopo.