Franco Marcoaldi, la Repubblica 3/11/2013, 3 novembre 2013
VEDI ALLA VOCE “POLI”, UN INVOLONTARIO ALFABETO DI COMICIT
Al contrario di tanti bovaristi rei confessi che desiderano diventare “scrittori” a tutti i costi, Paolo Poli ama davvero la letteratura e si è sempre dichiarato refrattario alla scrittura in proprio. Di qui la brillante idea di Luca Scarlini di mettere insieme, rovistando tra mille interviste, questo delizioso Alfabeto Poli, grazie al quale, voce dopo voce, possiamo ripercorrere un itinerario artistico specialissimo, improntato a uno humour di irresistibile causticità, del quale qualunque suo ammiratore conserva brandelli di memoria. Eppure fa ugualmente un certo effetto vedere squadernato davanti ai nostri occhi l’intero percorso di un signore che, passati gli ottant’anni, continua a calcare le scene con invidiabile souplesse. Senza pompa e nostalgia, serio come deve essere un bravo artigiano e con la sprezzatura di chi si riconosce orgogliosamente inattuale: «Ho fatto sessant’anni di teatro, ma non sono stati anni di carriera. Sono stati anni di educazione sentimentale».
Sarà anche vero che l’Italia non è un paese di grandi drammaturghi, ma per contro abbonda di formidabili comici: «sappiamo vendere il niente, siamo sempre andati in giro a raccontare Arlecchino e Pulcinella. Siamo come i preti, viviamo sulle chiacchiere». E quanto al senso del comico, si sa, Paolo Poli non ha rivali. Mescola allegramente grandi romanzi, filastrocche per bambini, favole gotiche, storie di sante e canzoncine del passato, per trascinarti alla risata. Gli basta niente: un travestimento, una parrucca e un fondalino disegnato ad arte. Perché il teatro è convenzione, ribadisce. Il naturalismo, sempre più penoso, lasciamolo alle soap televisive.
Allievo di Longhi e di Contini, assiduo frequentatore di Fellini e Palazzeschi, Poli fa continue dichiarazioni d’amore alle donne: sia a quelle in carne ed ossa della sua famiglia sia ai personaggi di fantasia; come che sia dotate, al contrario della maggior parte dei maschietti, “di animo virile”. Al contempo nega recisamente l’esistenza della “coppia”, a parte Stanlio e Ollio, «sintesi del tragico esplosa in comico». Il matrimonio gay? Per carità. Chi ha sempre difeso a denti stretti la propria solitudine non desidera affatto condividere il rito delle minestrine serali: «a volte mi sveglio, avverto un richiamo antico, tasto il letto, sento che non c’è nessuno e penso: che sollievo». Ciò detto, mai confondere sulfurea leggerezza e fatuità. Paolo Poli, se vuole, sa essere serissimo: da noi – ci ricorda – il talento è immancabilmente schiacciato dalla logica perversa della contiguità; il fascismo rappresenta una idiozia italiana congenita, ineliminabile; mentre «ora ci si riscopre improvvisamente indignati», dopo che per decenni abbiamo «peccato di omissione».
Ha ragione lui: per fortuna c’è il comico. Basta modificare Cartesio, giusto quanto basta: «Io rido, dunque sono».