Ottavia Giustetti; Paolo Griseri, la Repubblica 3/11/2013, 3 novembre 2013
“CARA LELLA, CONTA SU DI ME” L’INTRECCIO CON LA LIGRESTI-STORY COMINCIÒ IL GIORNO DEL BLITZ
Amici sul viale del tramonto. La telefonata improvvida del prefetto Annamaria Cancellieri, ministro guardasigilli e per questo suprema responsabile dell’amministrazione della giustizia in Italia è, come si direbbe in un tribunale, un atto dovuto. Non una semplice telefonata ad un’amica. Ma quella telefonata, con quelle parole, in quel preciso giorno. E questo è il vero, grande, problema. Perché sulla sventurata idea di chiamare la compagna di Salvatore Ligresti per esprimerle solidarietà umana e disponibilità ad agire si gioca gran parte dell’affaire che sta rischiando di travolgere la titolare del ministero di via Arenula in uno dei momenti più delicati della vita della Repubblica.
LA RETATA
Mercoledì 17 luglio 2013 è il giorno del crollo definitivo di un sistema di potere e della famiglia che lo aveva incarnato per oltre trent’anni. Il giorno della grande retata. Le porte del carcere si aprono per i Ligresti. Salvatore, il patriarca, rimane bloccato in casa ai domiciliari, nella sua Milano. La figlia Jonella, è obbligata a lasciare la stanza del Tanka village di Costa Rei per entrare in una cella di Bad’e carros. Non proprio un residence: il carcere di Cagliari. La sorella Giulia viene spedita al penitenziario di Vercelli. L’unico che riesce a sfuggire all’arresto è il fratello Paolo: miracolosamente da venti giorni è diventato cittadino elvetico e osserva il tramonto della famiglia da Montagnola, piccolo paese ticinese con vista sul confine italiano, già amato da Hermann Hesse.
L’eco degli arresti è notevole: agenzie e tg parlano di falsi in bilancio, centinaia di milioni spariti e nascosti nei conti delle società di famiglia, investitori truffati e ingannati. Chi ricorda ancora i fasti della Milano da bere, gli anni di Bettino prima e Silvio poi, chiude la pratica con un’alzata di spalle: quello dei Ligresti è l’ultimo vagone di un treno da tempo indirizzato su un binario morto.
UN’AMICA IN VIA ARENULA
In quelle ore, in un ufficio di via Arenula, c’è una persona che rimugina sugli avvenimenti. Annamaria Cancellieri è amica di famiglia dei Ligresti. Conosce Antonino, il fratello di Salvatore, dagli anni in cui lei era viceprefetto di Milano. Erano vicini di casa, sono diventati vicini di cordata se si crede a quel che ha raccontato don Salvatore ai pm di Milano: «Ho messo una buona parola per lei con Berlusconi perché rimanesse nell’incarico di prefetto che era in scadenza». Così nel giorno in cui i suoi magistrati firmano gli ordini di custodia cautelare, il ministro della Giustizia è in imbarazzo. Alle 15 va alla Camera. Deve rispondere al question time all’interrogazione di un deputato leghista sul sovraffollamento delle carceri. Cancellieri fornisce le cifre: «Al 30 giugno c’erano 66.028 detenuti a fronte di una capienza di 47.022». Poi difende la linea del governo: «Puntiamo a meccanismi di decarcerizzazione nei confronti di persone di ridotta pericolosità sociale».
LA CHIAMATA ALLA COMPAGNA
Il ministro esce dalla Camera. Le agenzie continuano a fornire particolari sulla sorte dei Ligresti e sulle gravi accuse che li stanno travolgendo. Lei salta il Rubicone. Alle 16.42 alza la cornetta e chiama la compagna di Salvatore, Gabriella Fragni. Primo particolare rilevante: è il ministro il primo a chiamare il familiare dei detenuti. Secondo particolare rilevante: non si sentivano da molto tempo. «Sono Annamaria, sono mesi che ti voglio telefonare per dirti che ti voglio bene». Il vero problema è che è il secondo particolare a spiegare il primo. All’inizio il ministro tenta di giustificare l’assenza di contatti per mesi con l’indubbia mole di lavoro che le è piombata sulle spalle: «Ho sempre detto: ora la vado a trovare, ora la vado a trovare. Ma poi non so manco come mi chiamo». La compagna di Salvatore Ligresti piange, si dispera. Nel tentativo di consolarla il ministro della giustizia si lascia andare: «Ah senti, non è giusto, non è giusto, lo so». Che cosa non è giusto? L’arresto? Come può un ministro, sia pure nel tentativo di consolare un’amica, definire ingiusto quel che hanno deciso i magistrati dopo mesi di indagini?
IL RUOLO DEL FIGLIO
Ma la vera ragione della lunga assenza di contatti tra il ministro e i Ligresti non è solo la mole di lavoro. Il secondo motivo lo spiega proprio Cancellieri all’amica: «Sono veramente dispiaciuta. Ma sono mesi che ti voglio... Poi ci sono state le vicende di Piergiorgio». L’amica capisce al volo e replica: «Anche io non ho mai chiamato perché mi veniva sempre in mente quel discorso che mi avevi fatto in cascina: “non sono contenta, non vorrei che ci andasse di mezzo la nostra amicizia”». Eccolo il rospo, il particolare sul quale il ministro rimugina da tempo, certamente fin da quando le agenzie del mattino hanno cominciato a dare conto degli arresti. Perché è stato proprio il figlio di Cancellieri, Piergiorgio Peluso, nel suo ruolo di consulente di Unicredit a smascherare i falsi in bilancio dei Ligresti, rendendo inevitabili le inchieste. Il ministro se ne dispera con l’amica: «Ah guarda, maledetto quel momento».
L’OFFERTA DI AIUTO
È solo a questo punto, al termine di una giornata di ripensamenti, al fondo di una telefonata decisa dopo molte titubanze nel momento meno opportuno, che Annamaria Cancellieri pronuncia la frase che potrebbe farle perdere il posto: «Guarda, qualsiasi cosa possa fare conta su di me, non lo so cosa possa fare però guarda sono veramente dispiaciuta».
L’AZIONE “UMANITARIA”
Il resto è cronaca. L’intervento “umanitario” del ministro dopo che, il 7 agosto, il gip di Torino respinge la prima richiesta di revoca degli arresti in carcere per Giulia, l’intervento sui vicedirettori del Dap, l’sms rassicurante a Antonino Ligresti. E la scarcerazione di Giulia, il 28 agosto. Certamente Giulia sarebbe comunque uscita il 19 settembre, dopo aver patteggiato la pena. Ma tutto questo è accaduto dopo. Il problema è quel che è successo prima. Il nodo è la vicenda di un ministro della Giustizia che si sente in colpa verso una delle famiglie più potenti d’Italia, che si sente imbarazzata perché il figlio ha contribuito a smascherarne le malefatte (per questo incassando comunque una buonuscita da 3,5 milioni), che si spinge a definire «ingiusti» gli arresti decisi dai gip. Per questo la sua offerta di aiuto appare come qualcosa di più di un intervento umanitario: sembra un gesto di riconoscenza, quasi di riparazione. Certo, non appare come la limpida e autonoma determinazione di un Guardasigilli giustamente preoccupato dello stato di salute di uno qualsiasi dei 66.028 carcerati italiani. «Vorrei che tu raggiungessi quella nostra amica. Penso che potrebbe fare qualcosa »: è il 17 agosto quando Gabriella Fragni dà questa indicazione a Antonino Ligresti. L’amica ministro, sventurata, risponderà: «Ho fatto la segnalazione».