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 2013  novembre 02 Sabato calendario

PAGHEREMO PER GENERAZIONI QUESTA NOSTRA RIVOLUZIONE


Ora che la nostra patria sventurata ha toccato il fondo nel baratro della vergogna e della sciagura nelle quali l’ha costretta la “grande rivoluzione sociale”, molti di noi si ritrovano con lo stesso pensiero in testa. Un pensiero ostinato. Che cupo, fosco, si offre alla nostra coscienza ed esige imperiosamente una risposta. È un pensiero semplice: che ne sarà di noi? Ed è un pensiero ovvio. Abbiamo analizzato a fondo il nostro passato recente. Abbiamo sviscerato ogni singolo istante – o quasi – degli ultimi due anni. E oltre a sviscerarli, molti di noi li hanno persino maledetti, quegli istanti.
Il presente ce l’abbiamo davanti agli occhi. Ma è tale che viene voglia di chiuderli, gli occhi. Pur di non vedere. Ci resta il futuro. Incerto, ignoto. E davvero, che ne sarà di noi?...
Di recente mi sono capitati per le mani alcuni numeri di una rivista illustrata inglese. Ho fissato a lungo, incantato, quelle foto meravigliose. E a lungo – molto a lungo – ho riflettuto… Il quadro è oramai chiarissimo. Giorno dopo giorno, dentro enormi fabbriche macchine enormi divorano spasmodicamente carbone su carbone e battono e rombano e riversano colate di metallo fuso per rimpiazzare altre macchine che fino a poco fa hanno forgiato
la vittoria seminando morte e distruzione. A Ovest la grande guerra di grandi popoli è finita. Ed è giunto il tempo di leccarsi le ferite. Si rimetteranno in piedi presto, là, prestissimo! E tutti coloro che – finalmente – a mente fredda hanno smesso di credere al patetico delirio di chi sostiene che la nostra perfida malattia contagerà anche l’Occidente, vedranno l’impresa titanica che condurrà i paesi occidentali a vette inaudite di potenza pacifica. E noi? Noi resteremo indietro… E resteremo tanto indietro, che nessuno dei profeti di oggi saprà mai dirci quando – e soprattutto se – potremo mai raggiungerli. Perché questo è il nostro castigo. Al momento per noi è impensabile creare. Al momento il nostro scopo è riconquistare la nostra stessa terra. Siamo alla resa dei conti. Palmo a palmo gli eroici Volontari strappano la terra russa dalle mani di Trockij. E tutti, tutti quanti – chi, impavido, fa il proprio dovere e chi esita nelle retrovie del Sud convinto che il paese si salverà anche senza di lui – attendono con fervore che la patria sia liberata. E lo sarà.
Perché anche noi abbiamo i nostri eroi, ed è un crimine pensare che la patria sia morta. Ma dovremo combattere, e molto sangue scorrerà, giacché dietro a Trockij si accalcano i pazzi armati che ha accalappiato, e la nostra non sarà vita, ma uno scontro mortale.
Dobbiamo combattere. E mentre in Occidente si udrà il fragore delle macchine che creano, da un estremo all’altro del nostro paese si leverà solo il fragore delle mitraglie. La follia degli ultimi due anni ci ha costretti a un viaggio tremendo, senza soste né riposo. Abbiamo portato alle labbra il calice del castigo e dobbiamo berlo fino alla feccia. L’Occidente si accenderà di mille luci elettriche, gli aviatori addomesticheranno il cielo, e si costruirà, si studierà, si pubblicheranno libri e si insegnerà...
Mentre noi… Noi combatteremo. E non c’è nulla che possa cambiare questa situazione. Noi dovremo conquistare le nostre città. E le conquisteremo. Memori del nostro sangue versato come rugiada sui campi e di come abbiamo scacciato i tedeschi da Parigi, gli inglesi ci presteranno cappotti e scarponi per arrivare presto a Mosca. E noi ci arriveremo. Pazzi e canaglie verranno cacciati, dispersi, annientati. E la guerra finirà. E allora il nostro paese distrutto e insanguinato si rimetterà in piedi… Lentamente, faticosamente.
Chi si lamenta per la “fatica” dovrà ricredersi. E dovrà “faticare” ancora di più… Dovremo pagare per il nostro passato con una fatica colossale e una vita di rigorosa povertà. E dovremo pagarlo in senso lato e nel significato letterale del termine. Dovremo pagare per la follia di marzo e di ottobre, per i nazionalisti ucraini traditori, per aver rovinato gli operai, per Brest, per l’uso folle della zecca di Stato… Per tutto quanto! E pagheremo. Tardi, tardissimo, ricominceremo a fare e a creare quanto serve per essere ammessi a pieno titolo nei giardini di Versailles. Chi vedrà questi giorni felici? Noi? Figurarsi! I nostri figli, forse, o forse i nostri nipoti, giacché la storia legge i decenni come fossero anni.
E noi che siamo stati parte di una generazione patetica e che moriremo da falliti, ci vedremo costretti a dire ai nostri figli: «Pagate, pagate tutto con onestà e serbate eterna memoria della rivoluzione sociale!».