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 2013  novembre 02 Sabato calendario

MICHAIL BULGAKOV


Strani quaderni, con tutte le pagine strappate a metà. Sono le prime stesure del Maestro e Margherita.
«I manoscritti non bruciano», è una delle folgorazioni proverbiali di Michail Bulgakov: ma lui i suoi li aveva gettati alle fiamme, eccome. C’era una grande stufa rotonda, nella stanza.
Misha cominciò a strappare le pagine e a gettarle nel fuoco. «Ma perché non bruci i quaderni per intero?», gli chiede Elena Seergevna, la terza moglie. La risposta è degna del suo capolavoro: «Se brucio tutto, nessuno crederà che il libro sia davvero esistito». Lo racconta Marietta Cudakova, che allo scrittore più controverso della letteratura russa ha dedicato tutta la vita, tanto da arrivare ad essere presidente della Fondazione Bulgakov. Oggi il suo lavoro — un imponente volume di 476 pagine — grazie all’editore Odoya vede la luce in Italia (prima ancora che in Russia), arricchito e rielaborato rispetto alla sua unica e quasi leggendaria edizione, nel 1988.
Un’occasione per entrare nella straordinaria e oscura galassia Bulgakov: detestato dal potere ma bizzarramente stimato da Stalin, gettato ai margini, dimenticato, riscoperto, celebrato (postumo), di nuovo spinto verso l’oblio, finalmente ricollocato tra le voci più alte del Novecento. Figlio di un dottore di teologia e medico militare convertito alla letteratura, la sua vita è una specie di declinazione di ogni immaginabile censura: per gli scriba di regime era un dovere impellente “raddrizzare” la sua biografia. «Virtuosistici giri di parole», scrive Cudakova, per sorvolare su quelle che venivano considerate le sue “zone d’ombra”. Squisitamente sovietico, per esempio, l’aneddoto della celeberrima telefonata di Stalin. Il “piccolo padre” chiama l’autore e drammaturgo da lui tanto apprezzato (pare che se ne siano registrate almeno quindici presenze in platea quando andava in scena I giorni dei Turbin) sostanzialmente per vietargli di espatriare. E per sibilare nella cornetta: «Le siamo venuti tanto a noia?». La versione di un letterato come Viktor Petelin è questa: «Quella telefonata lo restituì all’arte! ». Affermazione «vergognosa», annota Cubakova, visto che da «quella famosa telefonata alla morte lo scrittore non pubblicò una sola riga».
È emblematico che la censura bulgakoviana cominci dallo stesso Bulgakov. Lui stesso cercò, infatti, di cancellare ogni traccia del primo testo a sua firma mai pubblicato. Certo: gli sarebbe potuto costare le penne. È l’articolo dal titolo “Prospettive venture”, apparso il 26 novembre 1919 sulla rivista Groznyj, che la Cudakova scova solo dopo la prima edizione del suo libro, grazie ad anni di ricerche. È un fiume di lava, tenebroso e apocalittico, realizzato da Michail quand’è ancora medico militare in Cecenia, dove «i cosacchi insanguinati muoiono fra le mie braccia»: questa rivoluzione — scrive il ventottenne Bulgakov «è una follia. Molto sangue scorrerà, giacché dietro a Trockij si accalcano i pazzi armati che ha accalappiato, e la nostra non sarà vita, ma uno scontro mortale». Non è un caso che lo scrittore abbia conservato solo brandelli di quel giornale, un frammento della testata (esclusivamente le tre lettere “rzn”), la data e le proprie iniziali: ancora decenni dopo la sua morte (per nefrosclerosi, nel 1940), veniva “rimosso” tutto ciò che poteva nuocere a lui e alla pubblicazione della sua opera.
Quell’autunno del 1919 Michail e la sua prima moglie lasciano Groznyj. La guerra infuria. «Vivevamo in treno, vagone passeggeri o carrozza merci che fosse», racconta la bella Tat’jana. Si stabiliscono a Beslan. Quasi un’oscura profezia.