Antonio Monda, la Repubblica 2/11/2013, 2 novembre 2013
UNA PREGHIERA AMERICANA
NEW YORK Nei prossimi giorni sarà pubblicato in America il libro di preghiere di Flannery O’Connor (A Prayer Journal):
una serie di appunti, raccolti in un diario, che la scrittrice scrisse a cominciare dal 1946, quando venne pubblicato il suo primo racconto, Il geranio.
La O’Connor interloquisce con Dio su autori diversi quali Proust e Kafka e chiede costantemente aiuto nei momenti di crisi di ispirazione. Lo stile è diretto, folgorante, sincero sino al dolore, rasserenato però dalla promessa della redenzione. I giudizi sono duri, assoluti, ma, considerata la sua profonda fede cattolica, riferiti alle azioni e mai alle persone. Un senso di incompiutezza esistenziale domina i passaggi più tormentati, come quando afferma la pochezza di un’esistenza non illuminata dalla grazia. Tra i grandi scrittori americani del Novecento è certamente quella in cui l’elemento religioso è imprescindibile. Michael Cunningham, che dichiara di non avere ancora una posizione definita sulla fede, accetta di commentare questo diario.
«Parliamo di una grandissima scrittrice », racconta dal suo appartamento del Village, «che non si può apprezzare se non si comprende la sua fede».
Che di tipo di scrittrice era?
«Come ogni grande autore, Flannery O’Connor era autenticamente originale: una visionaria che vedeva il mondo e la gente con una chiarezza così priva di sentimentalismo da rendere gran parte degli altri scrittori miopi».
Nelle sue preghiere invoca spesso Dio per trovare ispirazione. Perché?
«Ritengo che Flannery O’ Connor sia la più grande scrittrice tra coloro che sono anche cattolici devoti e praticanti. Ed è significativo che la sua estrema ortodossia non la limiti affatto come artista ».
È possibile separare la sua arte dalla religione?
«Secondo me è fondamentale che la letteratura rinunci al contrasto tra bene e male sulle cose umane. Al contrario il suo scopo è penetrare l’essenza intima dei personaggi, far capire al lettore che ognuno agisce seguendo delle motivazioni che sono in fondo comprensibili, che le persone spesso sono in buona fede e che ognuno è l’eroe della propria storia. Ma poi arriva la O’Connor, una cattolica estremamente ortodossa, i cui personaggi non sono mai limitati né dal suo giudizio, né da quello di Dio».
La O’Connor ha dichiarato che un cattolico non può essere meno che un artista.
«Credo che ciò abbia a che fare con la sua convinzione che tutti i suoi personaggi sono figli di Dio, che hanno tutti un’anima e sono capaci di redenzione. Può capitare che li guardi con scetticismo, ma non li condanna o li abbandona mai: sono soggetti sui quali lavora la grazia di Dio».
Cosa pensa del suo libro di preghiere?
«Sono preghiere, affascinanti, ma non è letteratura. Credo sia sbagliato considerarle altrimenti. Nascono per comunicare con Dio. Le sue storie per comunicare con i lettori: è una differenza non da poco».
Quali sono altri scrittori per cui la religione è inseparabile dall’arte?
«Ci sono molti scrittori internazionali la cui fede si identifica con la loro opera. Tra i cattolici posso citare Graham Greene e Muriel Spark, che si convertì in tarda età. Poi penso a Singer e Malamud, che erano ebrei osservanti: mi vengono in mente in contrapposizione a Bellow e Roth, il cui ebraismo è parte fondamentale di quello che sono e scrivono, ma la fede non è centrale nelle loro opere. E poi i grandi scrittori di altre dottrine: Peter Matthiessen è buddista, V. S. Naipaul è hindu.... I grandi autori possono essere laici, a volte religiosi e a volte anche profondamente devoti».
Qual è l’influenza della O’Connor sulla letteratura americana?
«È un’autrice ammirata e imprescindibile. Non si può dire che abbia formato una nuova generazione di autori cattolici e ripeto che la sua influenza è nella chiarezza della visione e nell’assoluta mancanza di sentimentalismo. In lei si intravede l’inizio del lavoro di Donald Barthelme e di Raymond Carver: una versione originale e cristallina di scrittori che non avevano un rapporto condiscendente o romantico con i propri personaggi».
I suoi personaggi comunicano l’idea che la compiutezza possa essere raggiunta solo nell’incontro con Dio.
«Ritengo che la sua concezione del confronto finale con Dio porti ad una compiutezza drammaturgica molto più riuscita di quella che si legge in gran parte della letteratura. Molti narratori affrontano il tema della vita come qualcosa di incompiuto, anche quando il protagonista muore. La vita delle persone che conoscevano e volevano bene a Emma Bovary o Anna Karenina continua. Molte delle domande di quelle persone rimangono senza risposta alla fine delle storie e dei romanzi. Mentre l’incontro con il Creatore è qualcosa di assoluto».
In questo libro di preghiere afferma: «Proust ha ragione quando scrive che solo un amore che non soddisfa può continuare».
«Proust intende che l’amore può continuare quando gli amanti vogliono sempre di più dall’altro, quando l’interesse nell’altro diventa più profondo, quando rifiutano di cadere nella più grigia quotidianità che mortifica la sessualità, la profondità e la rivelazione.
Sono d’accordo con Proust e la O’Connor ».
La O’Connor scrive: «Nessuno può essere un ateo che non conosce tutte le cose. Solo Dio è ateo. Il diavolo è il più grande credente e ha le sue ragioni».
«La O’Connor aveva rispetto per il mistero: credeva nelle opere del mondo e in un Dio che sorpassa di gran lunga la nostra abilità di comprendere. Amo la frase “Solo Dio è un ateo”, mi fa pensare che Dio, a differenza del diavolo, non adori se stesso. La O’Connor pensa anche che il diavolo creda in tutto quello che è tangibile e dimostrabile, in un mondo essenzialmente prosaico. Lei amava ciò che può essere appreso o adorato, ma mai del tutto compreso: è una delle misure più certe della sua grandezza».