Paolo Griseri, la Repubblica 2/11/2013, 2 novembre 2013
AIUTO, S’È SGASATA LA COCA-COLA COSÌ DIETE ED ENERGY DRINK MINACCIANO LA LATTINA-CULTO
TUTTO va meglio con Coca- Cola. Ma quando le cose vanno peggio? Se è vero che dalla crisi usciremo tutti un po’ cambiati, una delle bevande simbolo del Novecento rischia di pagare pegno. La bevanda del farmacista di Atlanta gasa la vita degli italiani dal 1927. Nel secondo dopoguerra è diventata uno dei cardini dell’american
way of life nostrana.
EPPURE oggi quell’entusiasmo segna il passo: come la Rivoluzione d’ottobre, anche la bibita con «tutte quelle, tutte quelle bollicine» sembra esaurire la sua spinta propulsiva.
I vertici della Hellenic Bottling Company, la società greca che imbottiglia per il mercato italiano, hanno annunciato la chiusura di uno dei quattro stabilimenti nella Penisola, quello di Gaglianico, vicino a Biella. Dal primo marzo 2014 i cento dipendenti rimarranno a casa, senza lavoro. Motivo: gli italiani risparmiano sulle bollicine. I vertici della società non rispondono alla domanda sul calo delle vendite e anzi giurano che, nonostante la chiusura dello stabilimento, Hbc «pianifica strategici investimenti produttivi futuri in Italia» perché «siamo ottimisti sull’arrivo della ripresa ». Il presente però è di siccità. Lo dicono gli stessi documenti ufficiali del gruppo. Che raccontano di un calo di consegne tra il 6 e il 7 per cento nel primo semestre tra i «mercati stabilizzati » serviti da Hbc: Austria, Cipro, Grecia, Italia, Irlanda, Svizzera. È evidente che in questo bouquet il peso dei 60 milioni di italiani è preponderante.
Perché la lattina piange? «Austerità e disoccupazione», scrive Coca-Cola nel suo report dell’8 agosto: «Il volume di vendite in Italia scende. Le misure di austerità fanno calare la disposizione agli acquisti e la disoccupazione sale. Riteniamo che questo stato di incertezza sia destinato a continuare nel paese». Traduzione: la gente spende meno, va meno al bar e i pallet gonfi di lattine restano negli stabilimenti. Fanno eccezione le vendite della Coca Zero, salite del 14 per cento nel secondo trimestre. Un boom non sufficiente a scongiurare la chiusura dell’impianto vicino a Biella.
Quella che i dirigenti della Coca-Cola si augurano sia una crisi passeggera, potrebbe invece diventare un primo campanello d’allarme. Lo dice a chiare lettere una ricerca dell’osservatorio Prezzi e mercati di Unioncamere. Con la crisi «gli italiani stanno rivoluzionando la loro spesa alimentare» e lo stanno facendo per tappe: «Prima c’è stata la caccia alle promozioni. Poi è cominciato il calo della fedeltà alla marca. Oggi si passa alla rinuncia a prodotti giudicati non fondamentali». Tra questi, dice la ricerca, ci sono i dolci e le merendine, sostituiti dalla classica torta della nonna. E nell’elenco del superfluo finiscono anche «tutte le bevande gassate, in particolare le cole».
Certo la concorrenza non aiuta. Soprattutto da quando un signore austriaco, Dietrich Mateschitz, ha scoperto durante un viaggio in Thailandia la ricetta di una bevanda energizzante in grado di rivoluzionare il mercato delle bollicine. La più nota delle energy drink ha cominciato a sponsorizzare gli sport estremi e di nicchia. Oggi però ha sfondato: dà il nome alla scuderia che vince i campionati di Formula uno e lancia il suo testimonial (austriaco, naturalmente) nello spazio da un pallone aerostatico facendogli superare la velocità del suono. Una politica di marketing aggressiva quella della Red Bull, difficile da contrastare a colpi di spot con famigliole e babbi Natale. Lo scontro è soprattutto per la conquista delle giovani generazioni, quelle che negli anni Novanta la Coca-Cola se la portavano a scuola. Perché alla fine la battaglia per decidere chi entra nello zainetto dei teenagers del prossimo decennio sarà quella che sancisce davvero la rinascita o il declino della bibita del farmacista di Atlanta.