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 2013  novembre 02 Sabato calendario

BCE ALLA SFIDA DELLA DEFLAZIONE I TEDESCHI CONTRO IL TAGLIO DEI TASSI


PIEGATA da una moneta troppo forte, la lira a «quota 90», l’Italia era scivolata in una deflazione capace di corrodere il commercio e distruggere i posti di lavoro. Ed è ovvio che quasi ottant’anni dopo il paese oggi è ben lontano da un crollo dei prezzi così profondo, benché la caduta dell’economia sia ormai maggiore che nella grande depressione. Quella fu l’ultima volta che gli italiani vissero un avvitamento del genere e Mario Draghi parla per le generazioni del dopoguerra quando ricorda che, semmai, lui teme l’inflazione: fu il carovita a erodere i risparmi della sua famiglia negli anni ‘70, ha ricordato più volte il presidente della Banca centrale europea. Il suo opposto, la deflazione, sembrava un fantasma relegato in soffitta con tutto ciò che comporta. Si inizia con la riluttanza delle imprese e delle famiglie a fare acquisti e investimenti, perché tutti aspettano che i prezzi scendano ancora. Segue la progressiva paralisi degli scambi e dell’attività produttiva, indotta dalla posticipazione continua delle spese. Infine arriva la contrazione dell’economia che, in proporzione, fa apparire sempre più grandi e difficili da sostenere i debiti sospinti al rialzo dai tassi d’interesse.
Tutto questo sembrava una storia vecchia. Invece quando il Consiglio direttivo della Bce tornerà a riunirsi la settimana prossima, dovrà lavorare per garantire che i numeri di Einaudi sull’Economist restino davvero relegati alla polvere degli archivi. Non è scontato in partenza. Le stime di Eurostat mostrano come l’inflazione europea in ottobre sia scivolata allo 0,7%, lontana dall’obiettivo appena sotto al 2% della stessa Bce. Già il mese prossimo dovrebbe iniziare un piccolo rimbalzo, sostenuto dai prezzi dell’energia e dai segni di ripresa. Per ora però colpisce il dato relativo all’Italia: malgrado lo scalino al rialzo dell’aumento dell’Iva, in ottobre i prezzi scendono dello 0,3% da settembre ed è il secondo mese di seguito che succede. Senza il rincaro delle imposte indirette la caduta sarebbe stata del doppio, perché in un’economia di 60,9 milioni di consumatori ormai solo 22,3 milioni hanno un posto di lavoro; chi vende beni o servizi lima sempre più i prezzi per far girare la merce in un’economia in cui il potere d’acquisto delle persone è sempre più esiguo.
Non è detto che la Bce reagisca subito con un taglio dei tassi d’interesse, benché grandi istituti come Ubs, Bank of America, Bnp Paribas, Jp Morgan o Credit Suisse ormai se lo aspettino per questo mese o il prossimo. Il timore che sui prezzi in Europa scendesse un grande freddo era ben presente ai banchieri centrali riuniti a Francoforte già in luglio. Tre mesi fa sembrava che fra loro potesse esserci una maggioranza favorevole a decidere un taglio dei tassi. La sforbiciata di maggio aveva già dimostrato che una scelta del genere riduce il costo del denaro anche per le imprese e i governi dei paesi in difficoltà, Italia inclusa, e contrasta la tendenza dell’euro a rincarare verso livelli ai quali esportare diventa difficile.
Invece a luglio la Bce non tagliò. Benché indipendente, la banca centrale non può ignorare il contesto in cui si muove, e in Germania l’avversione a un taglio dei tassi verso quota zero resta diffusa. L’opinione pubblica teme che ciò deprimerebbe ancora di più i rendimenti dei fondi pensione tedeschi. Inevitabile dunque che da martedì a giovedì le discussioni all’Eurotower saranno tese. Mettere in minoranza i tedeschi del consiglio Bce pur di tagliare i tassi, potrebbe sembrare a molti in Germania un gesto di sfida alla vigilia di una sentenza decisiva per il futuro dell’area euro (e dell’Italia).
È dunque seduti fra l’incudine e il martello che i banchieri centrali si ritrovano da martedì a Francoforte per garantire che la deflazione non rimetta radici in Europa. La posizione di Einaudi ottant’anni fa era anche più scomoda e lui se la cavò dando ascolto solo ai numeri: raccontano una realtà che neanche la politica può sopprimere.