Sergio Bocconi, Corriere della Sera 2/11/2013, 2 novembre 2013
I VETI INCROCIATI ALLA POPOLARE DI MILANO TRA SUPERPOTERI DEI SINDACATI E SVOLTA MANCATA
Per la Popolare di Milano è l’ennesima conferma che la missione più difficile, anzi impossibile, è diventare una banca normale. L’amministratore delegato Piero Montani lascia e per l’istituto non comincia una transizione dall’esito prevedibile, pur fra le incognite e gli interrogativi che un cambio della guardia porta sempre con sè. No, si entra piuttosto in una situazione emergenziale. Che in teoria può richiedere soluzioni altrettanto di emergenza, anche da parte dell’autorità di sorveglianza. Tutto si deciderà in pochi giorni. E il primo appuntamento clou è con il comitato nomine e il consiglio di sorveglianza che sarebbero già in calendario martedì.
L’uscita di Montani, che va in Carige, rivela ancora una volta ciò che tutti, a cominciare da Bankitalia, sanno benissimo: il controllo dell’istituto resta in mano ai sindacati dei dipendenti e pensionati soci, nonostante l’Associazione amici della Bpm (il parlamentino-patto che con il 3,5% è stato per diverso tempo l’azionista di riferimento della banca) sia stata formalmente sciolta. Come è stato reso noto da Bpm su richiesta della Consob, il top manager, nel motivare le dimissioni per giusta causa, ha fatto riferimento principalmente «alla situazione di mancanza di fiducia» riscontrata a seguito di «dichiarazioni pubbliche di aperta sfiducia per opera di esponenti delle organizzazioni sindacali dei soci-dipendenti e pensionati della banca», alla «forte dialettica tra il consiglio di gestione e quello di sorveglianza riconducibile anche all’attuale composizione di quest’ultimo organo». Montani cita poi una circostanza chiave: «Un elevato numero di» componenti il board di sorveglianza «non ha approvato il bilancio 2012, per motivazioni che non sono in alcun modo riconducibili né ai risultati né a profili tecnici del bilancio stesso»». Tutto ciò «nonostante gli incontestabili risultati» che hanno portato la banca dal rosso di 600 milioni del 2011 agli oltre 100 milioni di utile nell’ultima semestrale. Per Montani dunque, la situazione «non è ulteriormente sostenibile».
Un atto di accusa grave, pronunciato peraltro da un banchiere in ottimi rapporti con Via Nazionale, che potrebbe pesare non poco sulle riflessioni e decisioni che si renderanno necessarie a brevissimo termine. Dopo un confuso passaggio che nei giorni scorsi ha visto (per ora) sfumare la certezza dell’arrivo in Piazza Meda di Giuseppe Castagna, ex capo della Banca dei Territori di Intesa-San Paolo e la nomina di Davide Croff ad amministratore delegato ad interim, giovedì il consiglio di gestione presieduto da Andrea Bonomi ha espresso a quello di sorveglianza (dove sono presenti diversi esponenti dei soci-sindacati) la necessità di dare alla banca una guida stabile. Una richiesta in vista degli appuntamenti già in agenda: l’aumento di capitale da 500 milioni, «sollecitato» da Bankitalia dopo la restituzione dei Tremonti bond e approvato in giugno; il piano industriale e il cambio della governance, con un aumento di peso degli investitori istituzionali; gli stress test della Bce ai quali la banca si potrebbe presentare con ratio ai limiti della criticità in assenza della ricapitalizzazione. Appuntamenti rispetto ai quali, è stato rilevato, è incoerente la scadenza nell’aprile 2014 degli organi sociali e, con il consiglio di gestione, anche dell’amministratore delegato: si ritiene perciò che il board di gestione vada rinnovato anticipatamente per un triennio. Stabilità dunque, tema che lo stesso Castagna, il 30 ottobre, avrebbe sollevato nel colloquio con il presidente del board di sorveglianza Bpm Giuseppe Coppini: un orizzonte di mandato di sei mesi è incompatibile con scadenze fondamentali e non prorogabili.
A questo punto cosa farà il consiglio di sorveglianza, al quale spetta la nomina di quello di gestione? Il board presieduto da Coppini ha di fronte a sé diverse possibilità: non dar corso alla richiesta del board di gestione; prendere tempo in relazione all’eventuale decisione del comitato nomine, che ha rilevato opportuno vagliare più candidati, di avviare una ricerca anche con l’ausilio di cacciatori di teste; provvedere al rinnovo anticipato confermando in tutto o in parte gli attuali componenti o procedendo a un totale ricambio; sostituire Montani fino alla scadenza naturale l’anno prossimo. Un rebus, dunque, che non è detto trovi già soluzione martedì. In caso la vicenda si trasformi nell’ennesimo episodio di veti incrociati e si scivoli in un’impasse a sbocco imprevedibile, non sono da escludere dimissioni del consiglio di gestione o l’intervento di Bankitalia. La «banca normale» a quel punto non sembrerebbe nemmeno più una missione impossibile, bensì un miraggio.