Malcom Pagani, Il Fatto Quotidiano 1/11/2013, 1 novembre 2013
FELLINI, IL CAOS TOTALE CHE CREAVA CAPOLAVORI
Oltre la Senna, i viali di Parigi, i premi, le foto berbere e i 130 film: “Sono 137”, la vita di Claudia Cardinale non è mai stata un lungo fiume tranquillo: “Arrivai sul set di 8 e 1/2 poco dopo aver girato Il gattopardo con Visconti. Federico Fellini mi chiamava Claudina. Aveva mille premure. La prima volta che dovetti guidare non ebbi il coraggio di dire la verità. Non avevo la patente né la minima idea di come si usassero le marce. Marcello Mastroianni, terrorizzato, si teneva stretto alla maniglia e fingeva naturalezza. Partii a 60 all’ora in retromarcia. Dallo specchietto vidi gente mettersi le mani nei capelli. Il regista ci aspettò in fondo alla strada. Sorrideva: ‘Bravi, bravissimi, buona la prima naturalmente”.
A 74 anni, dopo una forzata immobilità estiva figlia di un piede rotto, Claudia Cardinale corre con i ricordi: “Non sono nostalgica, né malinconica. Vivo di momenti, resto nel presente. A volte, quando voglio essere altrove o ritrovare certe atmosfere, disegno. Sempre le stesse cose, l’Africa, le palme, il deserto. Le mie origini. Ricordare può essere doloroso. Disegnare fa sentire bene, rende allegri, regala libertà”. Nata in Tunisia nel mese più crudele del 1939, approdata in Italia nel ’58, vista su un rotocalco e subito assoldata da Monicelli nell’impaginazione de I soliti ignoti: “Era una bella ragazza e non capiva una parola di italiano” l’inquieta Claudia: “Da ragazza ero davvero selvaggia”, musa di Germi e di Zurlini, interpretò quasi contemporaneamente due opere di cui oggi, ciclicamente, le chiedono sintesi, nessi e ragione. Il Gattopardo di Visconti e in quell’agitato maggio 1962, 8 e 1/2. Prima del via, Federico Fellini era incerto: “Mi sento un ferroviere che ha venduto i biglietti, messo in fila i viaggiatori, sistemato le valigie: ma dove sono le rotaie?”. Ora che navi, stazioni e strade sono utili per l’amarcord e Fellini se ne è andato esattamente da vent’anni, a Claudia Cardinale, viene in mente l’ultimo momento: “Quando morì Federico, ero lontana e lo seppi dalla tv. Ha presente la scena? Ti siedi sul divano e uno dei tuoi amici più preziosi diventa una foto con dei commenti in sottofondo. Tu vedi, ma non ascolti più niente e insegui i momenti felici.
Sono stati molti?
8 e 1/2 fu uno dei set più divertenti della mia vita. Fellini ci dava totale libertà. C’era un casino indescrivibile, la confusione senza la quale giurava di non saper creare o immaginare.
L’anarchia?
Sembrava che ognuno fosse lì per caso, ma Federico era un pifferaio magico. Quando dava il via si bloccavano tutti. Incantati
Il tocco di Fellini.
Federico era veramente speciale. Non si limitava a rielaborare un linguaggio. Ne inventava uno tutto suo e una volta scritto, insoddisfatto, lo reinventava ancora. Prenda La dolce vita. Non è che via Veneto nella realtà fosse veramente così. Era una sua trovata, come la parola paparazzo e decine di altre cose. In quella Roma, anche i sampietrini erano costruzione onirica.
8 e 1/2, l’ultimo bianco e nero di Fellini, è anche il suo primo film da attrice non doppiata.
Fu una sua scelta. Sapeva trattare con i professionisti non dimenticando mai di consigliare un’attenzione al guizzo dilettantesco e spontaneo, che è nel dna di qualunque attore. Quando eravamo preoccupati per le insidie del copione, interveniva rassicurante: “Non dovete sapere a memoria tutte le battute, tanto le cambiamo lì per lì”.
Ed era vero?
Verissimo. A volte metteva in atto trucchi sottili. Si metteva seduto su uno sgabello al posto di Mastroianni e mi interrogava: “Ora dimmi chi sei, di chi sei innamorata e a chi vuoi bene”. Io iniziavo a raccontare e lui si alzava di soppiatto per far sedere Marcello e girare la scena. Come altri grandi registi, Federico era anche uno straordinario criptoattore. Poi il ciak andava in un angolo e in pausa pranzo, si trasformava di nuovo. Giulietta gli portava le vivande e lui tornava paterno: “Claudina, mangia, sembri un uccellino”.
E Mastroianni?
Marcello diceva: “Mi pagano per divertirmi” e non fingeva. Era capace di insospettabili timidezze e in grado di distinguere realtà e finzione come pochi. Se fai il nostro mestiere, il segreto della sopravvivenza è in quel distacco.
Perché?
In un lavoro in cui tutto complotta per sottrarti un’identità, non esiste niente di più importante che mantenere un equilibrio interiore. La battaglia della mia vita è stata tenere realtà e finzione separate. Mi è costato sforzo, altri non hanno retto alla pressione e si sono persi per sempre. Io sono rimasta Claudia. Quella che non ha la limousine e va a piedi, senza autisti o guardie del corpo.
Visconti all’epoca di 8 e 1/2 l’avrebbe scortata volentieri lontana dal set felliniano.
Sono stata molto amica di entrambi, ma i due non si amavano, avevano rapporti inesistenti ed erano oggettivamente diversissimi. La contiguità temporale dei due film qualche problema lo creò. Federico mi voleva bionda, Luchino bruna e ogni tanto, perfidamente, con quel suo sorriso, Fellini provocava: “Perché non dici a Visconti di passare? Sono certo che si divertirebbe”.
Metodi di lavoro inconciliabili?
Se Federico amava l’improvvisazione, i luoghi di Visconti che era stato assistente di Renoir, erano ambiti sacri. L’impostazione era teatrale, schematica, piena di regole non scritte. Si respirava un timore generalizzato e non volava una mosca. Il vestito da sposa del Gattopardo era così stretto che mi ferì alla schiena. Non dissi una parola fino all’ultimo ciak.
Ma con lei Visconti era protettivo.
Fin da Rocco e i suoi fratelli. Un giorno, durante una scena cruda, gridò alla troupe: “Trattamela bene, mi raccomando”. Con lui parlavo di tutto, vedevo il Festival di Sanremo e facevo lunghi viaggi. All’ultima esibizione di Marlene Dietrich, dopo una trasferta organizzata con furiosa fretta, eravamo vicini. C’era una confidenza assoluta. Una volta mentre giro con Delon si avvicina all’orecchio e mi fa: “Voglio vedere la lingua”. Luchino si prendeva licenze impensabili: “Claudia non è una gatta, è un ghepardo”.
Lei e Delon siete molto legati.
Avremmo potuto avere una storia d’amore, ma Alain non mi prendeva sul serio: “Claudia, ora non è più possibile. Noi saremo per sempre una coppia mitica”.
E lei con quella voce cosa rispondeva?
Lei sa perché ho questa voce? Perché da ragazza non parlavo. Pensavo solo a fare sport, frequentare gli stadi e picchiare i maschi per dimostrargli che noi eravamo le più forti. Non so se avevo ragione, ma so che non rimpiango nulla. Il tempo passa e non si può fermare. Meglio non sprecarlo.