Ilaria Vesentini, Il Sole 24 Ore 1/11/2013, 1 novembre 2013
IL PARMIGIANO RESTA SENZA MAGAZZINO
REGGIO EMILIA «In base all’articolo 15 della legge regionale sulla tutela del territorio questo investimento non si può fare, lo riformuli utilizzando invece l’articolo 14 e fra sette-otto mesi ne riparliamo». È questa, in soldoni, la risposta che ha incassato poche settimane fa Dante Bigi della Nuova Castelli Spa, azienda alimentare reggiana. Un imprenditore che ha fretta di crescere (le vendite di formaggi sono cresciute del 20% quest’anno) ed è pronto a investire 30 milioni di euro nella sua terra, per costruire il più grande magazzino automatizzato al mondo di stagionatura del parmigiano reggiano. Trenta milioni che ha già rilanciato a 60, perché a fianco del Fort Knox delle forme vorrebbe costruire 20mila metri quadrati di nuovo stabilimento produttivo, visto che l’attuale scoppia e ha bisogno di raddoppiare (o quasi) capacità produttiva e occupazione.
Da un lato c’è la Provincia, che si è messa di traverso negando il consenso alla cementificazione industriale in un’area agricola in disuso, appigliandosi all’infinita gamma di possibili interpretazioni delle norme urbanistiche vigenti. Dall’altro lato c’è il sindaco che tenta la mediazione, preoccupato di vedersi sfilare dai colleghi del comprensorio della Dop un investimento che porterebbe business e quasi 200 posti di lavoro – tra i 50 del magazzino e annesso spaccio e i 150 nel sito produttivo – in un comune di 8mila anime stremato da chiusure aziendali e disoccupazione. È questo il triangolo che dalla scorsa primavera occupa scena e cronaca di San Martino in Rio, estremità est del Reggiano, rimbalzandosi le sorti di un investimento senza precedenti, ennesimo caso di schizofrenia italiana di fronte a privati disposti a scommettere ancora sul Paese e istituzioni ferree nel tutelare l’esistente.
La Provincia ha infatti negato l’8 ottobre scorso il suo consenso alla variante comunale che avrebbe permesso di trasformare aree e ricoveri agricoli abbandonati in un parallelepipedo di 7.600 mq di base e 27 metri di altezza, dove 680mila forme di Dop avrebbero potuto invecchiare gestite da robot, sopperendo alla carenza di posti di stagionatura causata dal crollo delle scalere dopo il terremoto di 17 mesi fa ed eliminando con la tecnologia gli storici problemi di sicurezza legati allo spostamento di cilindri da 40 kg a decine di metri di altezza da terra. Una guerra tra legali di Provincia e Comune in punto di diritto, con il consorzio di tutela del parmigiano che sostiene il magazzino, ma la Coldiretti che lo avversa. E Bigi che non volendo perdere il treno della domanda estera (prevede di sfiorare quest’anno i 400 milioni di ricavi, con 50 milioni in più solo di export di formaggio) non ha certo altri sette o otto mesi da perdere in burocrazia. «I mercati non aspettano, io ho bisogno di spazi per produrre di più e in modo più efficiente e non so dove andare a stagionare le forme. Se qui, dove ho le radici, non posso crescere, me ne andrò a Modena o Parma: sono almeno una decina i sindaci che mi hanno chiamato offrendomi aree e autorizzazioni immediate», assicura.
Minaccia che la presidente della Provincia di Reggio Emilia, Sonia Masini, non coglie: «Non è questione di lentezza burocratica, ma di muoversi rispettando le regole e in linea con le strategie dell’amministrazione. Quell’intervento non è di livello comunale e le procedure adottate fin qui non erano conformi, ma ciò che più conta è che non siamo ancora convinti di bontà e utilità di un investimento di quelle proporzioni. Perché finirà col danneggiare le piccole latterie che presidiano la tutela del territorio e del paesaggio, la tradizione artigianale, la tipicità di una Dop che rischia di essere mescolata con altri formaggi. Per qualche decina di posti di lavoro potrebbero esserne cancellati molti di più nella filiera agricola. Per non dire che siamo pieni di capannoni industriali dismessi». Il sindaco di San Martino, Oreste Zurlini, lavora al dialogo tra le parti, dopo il rigetto dell’iter individuato dai suoi legali per autorizzare i primi 30 milioni di investimento (gli altri 30 per il sito produttivo non rientrano nella procedura, essendo stati appena annunciati dalla Nuova Castelli). E intanto fa i conti con altre due dozzine di disoccupati, a breve, per la chiusura del maglificio locale del gruppo Armani.
«In Inghilterra, Francia, Ungheria, dove ho altri siti, sono abituato ad essere aiutato dalle amministrazioni se si portano lavoro e ammodernamento. Qui no. E ho un’azienda – riflette Bigi – che chiuderà il bilancio con 25 milioni di utili da reinvestire e un team di soci pronti a cofinanziare il magazzino».