Cesare Giuzzi e Gianni Santucci, Corriere della Sera 1/11/2013, 1 novembre 2013
LE FAMIGLIE DELLA DROGA CHE SI CONTENDONO MILANO
MILANO — Più di cinquemila persone arrestate in un anno. Ci sono in mezzo i «manager» , i «funzionari» e gli «impiegati». Questa è la gigantesca forza lavoro (meglio, la parte intercettata dalle forze dell’ordine) che alimenta l’industria della droga in Lombardia. Stupefacenti sequestrati: un quinto di tutta Italia. Riflette un investigatore: «Da anni chiunque può comprare un chilo di cocaina e spacciarla, guadagnando magari 5-6 mila euro in tre giorni». Ecco perché, solo nell’ultimo anno a Milano, all’interno di questo mercato balordo si contano cinque morti ammazzati e una decina di sparatorie.
E sembra paradossale, ma i clan non usano le pistole per conquistare i quartieri. Semplice: non c’è motivo di farlo, se c’è spazio per tutti, se la richiesta dei clienti è praticamente inesauribile. Semmai è il contrario. È più facile morire in basso, tra piccole e medie imprese del crimine, tra improvvisati o sbandati, o tra vecchi balordi in decadenza. Decadenti erano i Tatone, origini casertane, storici protagonisti della spartizione di un quartiere a Nord di Milano, Quarto Oggiaro, dove due dei quattro fratelli sono stati assassinati in tre giorni: Emanuele, 52 anni, domenica scorsa (vittima di un’esecuzione con un suo amico, Paolo Simone); Pasquale, 54 anni, mercoledì sera, colpito con un fucile a pallettoni mentre risaliva in macchina. Potrebbe entrarci o no la droga. Sembra di sì, magari con un affronto, una spocchia eccessiva di chi si ritiene boss per virtù di nome, in una zona dove si contano altre due dinastie: Carvelli (origine calabrese) e Crisafulli (origine siciliana). Il capo, Biagio detto «dentino», è in carcere. Ma il suo esercito, dicono le ultime indagini, sta costruendo nuovi equilibri, nuovi assetti.
Una «mancanza di rispetto» (40 mila euro per un debito di cocaina richiesti in pubblico con le «cattive maniere») è costata la vita, un anno fa, a Massimiliano Spelta e sua moglie Carolina, dominicana. Uccisi per strada da due uomini vicini a famiglie calabresi, ma balordi in proprio. Sono i nuovi rischi della Milano capitale aperta della cocaina. Dove conta più l’abilità di stare sul mercato, che la forza di intimidazione. Si vede anche dai dati della Direzione centrale antidroga: in città, nel 2012, sono stati arrestati 1.426 stranieri per traffico di cocaina, hashish ed eroina. Più degli italiani, e questo è un primato. In particolare rispetto ai 214 stranieri bloccati a Napoli, ai soli 60 di Reggio Calabria.
Ecco perché a Milano succedono cose così (documentate da un’indagine della Squadra mobile della polizia nel 2010): un «broker» della droga, che fa da raccordo per alcune famiglie di ‘ndrangheta, incarica un suo uomo di ritirare i «pacchi» di «coca» da un potentissimo cartello serbo-montenegrino radicato in città. Affari conclusi in uno tra i più importanti mercati di ingrosso e consumo di cocaina in Europa. Dove possono operare le mafie slave, i clan albanesi, quelli bulgari: il «padrino» Evelin Banev è stato arrestato dal Ros dei carabinieri mentre stava importando un carico gigantesco dal Sud America (6 tonnellate). Le storiche famiglie di ‘ndrangheta hanno sempre i «loro» territori: Barbaro-Papalia tra Corsico e Buccinasco; il gruppo di Francesco Orazio Desiderato, legato ai Mancuso di Limbadi, che ha mosso carichi impressionanti tra il quartiere Niguarda e la Brianza, fino a Barlassina, paesotto dove è stato arrestato una decina di giorni fa; i Flachi-Trovato tra Comasina e Bruzzano. Famiglie che si sono però adattate a un mercato fluido: a seconda delle occasioni, possono ordinare forniture dalla Calabria o acquistare dalle «multinazionali» straniere. Il segno più chiaro del mercato post-moderno si vede in strada: i «pusher» gambiani comprano all’ingrosso e spacciano tra i Navigli e corso Como. Stanno nei loro affari e non rischiano. Le armi si usano più tra i balordi italiani sopravvissuti a vent’anni di galera. E che oggi commerciano qualche chilo di cocaina con la testa ancora ferma alla Milano criminale dei primi anni Novanta.