M. Antonietta Calabrò, Corriere della Sera 1/11/2013, 1 novembre 2013
IL RECUPERO DEL «PADRE FONDATORE» MA LA GUERRA DEI NUMERI È APPENA INIZIATA
ROMA — Dopo il voto della Giunta del Senato, che a stretta maggioranza si è espressa per il voto palese sulla decadenza dell’ex premier, e l’altolà di Berlusconi ai suoi, sembra che nel Pdl la conta dei numeri abbia cominciato rapidamente a risalire a favore del «padre fondatore», come ieri lo ha definito Francesco Paolo Sisto, presidente della commissione Affari costituzionali della Camera.
Berlusconi ha chiesto a tutti gli 800 componenti del Consiglio nazionale di mettere la propria firma sotto la delibera dell’Ufficio di presidenza del 25 ottobre. E da allora la partita dei numeri per i «governativi» si sta dimostrando più difficile. Anche perché — dicono a Palazzo Grazioli — Berlusconi «ha dato l’opportunità di rimediare a chi aveva sbagliato».
I conti fatti in via del Plebiscito parlano di 700 delegati che hanno firmato o hanno annunciato di voler firmare la delibera. I «governativi», da parte loro, continuano invece a sostenere di poter contare su circa 400 consiglieri. E dato che le decisioni importanti si possono prendere solo con i due terzi dei voti, 400 voti «bloccherebbero» il ritorno a Forza Italia. La guerra delle cifre insomma continua. E su di essa incide anche la decisione presa da Berlusconi di anticipare il Consiglio nei giorni che vanno dal 9 al 16 novembre: tempi più stretti, meno possibilità di manovra per i «governativi» e, soprattutto, prima del voto sulla sua decadenza.
Quanto alla distribuzione sul territorio, secondo i «lealisti», ci sarebbero stati alcuni repentini cambiamenti di fronte: «Il presidente ha dato la possibilità di rientrare, in pratica chi firma la delibera si fa perdonare di avere tradito. Ad esempio in Piemonte si è capovolta la situazione», dicono a Palazzo Grazioli. E ancora il Piemonte (che era dato saldamente in mano agli alfaniani) sarebbe ritornato tutto intero all’ ovile berlusconiano, grazie all’opera di Maria Stella Gelmini, che ha rafforzato l’adesione al documento anche in Lombardia (Brescia sarebbe tutta lealista).
Persino la Calabria, dove si pensava che gli alfaniani controllassero il partito quasi in blocco, grazie al presidente della Regione , Giuseppe Scopelliti, in realtà i «lealisti» sembrano poter contare su un 40 per cento di adesioni alla delibera. Resta invece saldamente alfaniana la Sicilia. E il Lazio — a motivo della forte presa sul partito del presidente della commissione Esteri della Camera, Fabrizio Cicchitto — è spaccato a metà . Anche la Basilicata sarebbe tornata lealista, con una piccola «resistenza» alfaniana. Naturalmente, la roccaforte berlusconiana rimane la Puglia, patria di Raffaele Fitto.
Il documento dei «governativi», che era stato annunciato in particolare da Roberto Formigoni, in realtà non è stato ancora portato allo scoperto. Le carte finali della partita si giocheranno quindi nelle prossime ore.
Il fatto stesso che Berlusconi abbia chiesto la conta sulla delibera dell’Ufficio di presidenza viene giudicato nell’entourage di alcuni «governativi» come un vero e proprio elemento di forte rottura. In quella sede infatti Alfano era stato messo in minoranza. Il testo della delibera ha inoltre accenti molto «forti». Al primo punto «si denuncia la persecuzione politica, mediatica e giudiziaria in corso da vent’anni contro il presidente Silvio Berlusconi eletto liberamente e democraticamente da milioni di cittadini italiani». Si sottolinea che si tratta di «un attacco che colpisce al cuore la democrazia, lo stato di diritto, e il diritto alla piena rappresentanza politica e istituzionale di milioni di elettori». Infine si «ritiene assolutamente inaccettabile la richiesta di estromissione dal Parlamento italiano del leader del centrodestra, sulla base di una sentenza ingiusta ed infondata e sulla base di una applicazione retroattiva di una legge penale». È in questo quadro che si «delibera la sospensione delle attività del Popolo della libertà, per convergere verso il rilancio di “Forza Italia”».