Liana Milella, La Repubblica 1/11/2013, 1 novembre 2013
“INTERVENIRE ERA UN MIO PRECISO DOVERE L’HO FATTO IN DECINE DI ALTRI CASI” CANCELLIERI PREPARA LA DIFESA IN AULA
ROMA — L’onore? «Quello nessuno si può permettere di metterlo in discussione». Anna Maria Cancellieri trascorre in via Arenula la sua giornata più «amara» da quando è ministro. Prima del-l’Interno, adesso della Giustizia. Solo due “finestre” esterne, a palazzo Chigi dove parla con Letta e al Quirinale da Napolitano, da sempre il suo più forte sponsor. Dove, però, ha discusso solo di piano carceri. Ma è al ministero, in un lungo briefing con i suoi più stretti collaboratori, che sfoga la sua «amarezza» per il caso Ligresti. «Non sono arrabbiata, sono amareggiata» dice più volte. Con i “suoi” magistrati, note toghe rosse, il capo di gabinetto Renato Finocchi Ghersi, il direttore dell’ufficio legislativo Domenico Carcano, ma soprattutto con i due vice delle carceri, Francesco Cascini e Luigi Pagano, che invece non sono «amareggiati», ma decisamente «furibondi». Vedremo perché. Piovono decine di richieste di chiarimento, lei decide di farne una sola, una lettera «del tutto istituzionale», inviata ai capigruppo di Camera e Senato, per dire innanzitutto che «è pronta a riferire in Parlamento per dare ogni chiarimento che si rendesse necessario».
L’Adnkronos, a metà giornata, riporta la sua telefonata con la compagna di Ligresti. Virgolettati imbarazzanti. Ma lei, su quell’amicizia «vecchia di una vita», non fa il minimo passo indietro. Non è questa la questione che la preoccupa, ma quella che le venga addebitato un grave favoritismo per Giulia Ligresti. Qui la sua puntualizzazione pubblica e privata si fa causidica. «Quello che ho fatto per Ligresti l’ho fatto in decine di altri casi. Tutti documentabili. Non c’è una mail che arrivi alla mia segreteria cui non si risponda». Poi, su Giulia: «Sono miei amici, lo sanno tutti. Ma avrei fatto quello che ho fatto anche se non lo fossero stati. Ho temuto un suicidio, o comunque un atto di autolesionismo, mi sono mossa per questo». Scrive ai capigruppo: «Era mio dovere trasferire questa notizia agli organi competenti del Dap per invitarli a interventi per impedire eventuali gesti autolesivi». Ripete ufficialmente quello che continua a raccontare per tutta la giornata, la sua risposta al detenuto di Padova Stefano, che Corrado Augias e Adriano Sofri gli avevano segnalato, perché era stato trasferito e stava male. «Intervenire è compito del ministro. Non farlo sarebbe colpevole e si configurerebbe come una grave omissione».
Ligresti come qualsiasi altro detenuto? Nessun favoritismo? Nemmeno per via del figlio che con i Ligresti ha lavorato e da cui ha ricevuto una liquidazione milionaria? Una «montatura». Una «storia assurda». «Un’aggressione del tutto ingiustificata». I vice del Dap Pagano e Cascini vanno oltre, «una bugia». Questa è la linea del Piave di via Arenula. Che Cascini, nota toga di Magistratura democratica e fratello dell’ex segretario dell’Anm e pm di Roma Giuseppe, riassume in una battuta: «Io non ho fatto proprio nulla. Ho solo detto a Cancellieri, “ministro stia tranquilla, la Ligresti è seguitissima. Lei come ogni altro detenuto a rischio, pure per Lavitola ci siamo allertati». Pagano, famoso ex direttore del carcere di San Vittore, è sulla linea Cancellieri: «La Ligresti come tantissimi altri detenuti senza nome per cui per tante notti non ho dormito. Con le “disgrazie” che ho avuto (allude ai suicidi, ndr.) ho l’abitudine di essere vigile ». Il caso Ligresti quindi? «Una banale segnalazione, e basta».
Dunque a via Arenula e per Cancellieri non si vede traccia di un affaire Ligresti, questo è evidente, ma questa è la loro versione. Ovviamente citano la reazione di Gian Carlo Caselli e sottolineano che «non ci hanno parlato e non l’hanno certo sollecitata». Ma la considerano un atout importante. Che si sposa a perfezione con quella che Cancellieri non vuole neppure definire un’autodifesa, perché «da cosa dovrei difendermi se non ho fatto nulla?». L’unica cosa che ha fatto — è il suo refrain per ore e ore — è quello che il ministero fa per i detenuti italiani. «Segnalare il pericolo e il disagio, se ci vengono segnalati ». I Ligresti amici? «Amici certo, ma per loro non ho fatto niente di più di quanto non ho fatto per chi non conosco neppure. Se non l’avessi fatto mi sentirei in colpa ».