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 2013  novembre 01 Venerdì calendario

AL QAEDA È SEMPRE AL QAEDA


Osama bin Laden è morto. E ora «il cuore nevralgico di al Qaeda sta per essere sconfitto». Ad annunciarlo, la scorsa estate, era stato il presidente americano Barack Obama durante un discorso all’Università per la difesa nazionale, nel quale distingueva le attività del nucleo storico di al Qaeda da quelle dei suoi affiliati e alleati, non ritenuti altrettanto pericolosi per gli interessi degli Stati Uniti.
Ma la recente operazione francese in Mali, la sempre maggiore presenza di qaedisti tra le file dei ribelli siriani e l’attacco al grande magazzino West Gate di Nairobi, che il 30 settembre scorso ha lasciato sul terreno 67 morti e 200 feriti, hanno recentemente ricordato a Washington che è stato un errore sottovalutare l’efficacia della rete creata da al Qaeda in Africa e in Medio Oriente tramite alleanze e moderne forme di franchising. Una rete sempre più ampia. Più forte. E più flessibile.
Come la mitologica Idra, dopo avere subito la rescissione della testa del suo leader al Qaeda insomma non solo non è morta ma - dal 2011 a oggi - ha saputo trasformarsi, potenziando le sue filiali regionali, adattandosi alle nuove condizioni.
LA STRATEGIA DI AL ZAWAHIRI
Dalla Somalia alla Siria, gli eredi di bin Laden e i loro alleati controllano la porzione di territorio più vasta dalla nascita dell’organizzazione terroristica 25 anni fa. Ayman al Zawahiri, lo sceicco egiziano succeduto a Osama, non ha il carisma del fondatore e pur di espandere l’organizzazione è incline ad allentare le maglie della selezione dei nuovi membri. Così sono in molti ad avergli giurato fedeltà. Tra i primi è stato proprio quell’Ahmed Godane a capo degli al Shabaab che terrorizzano la Somalia e che hanno condotto l’ultimo attacco terroristico in Kenya. Bin Laden non ne voleva sapere di loro: un po’ per razzismo, un po’ perché li giudicava violenti senza motivo e a rischio di alienare, con i loro comportamenti, le simpatie della popolazione locale alla rivoluzione qaedista. Al Zawahiri ne ha cambiato le sorti, ufficializzandone l’affiliazione.
OBIETTIVO: IL GRANDE CALIFFATO
L’ascesa al ponte di comando di questi gruppi un tempo ai margini dell’organizzazione jihadista è andata di pari passo con la decimazione del nucleo centrale di al Qaeda per mano dei droni di Obama. Così se forse non sono più in grado di condurre attacchi spettacolari in terra straniera come quello delle Torri gemelle a New York (11 settembre 2001), i nuovi qaedisti sono però più attivi di una volta nel perseguire la missione per cui al Qaeda è stata creata, ovvero la costituzione del Grande Califfato islamico in Medio Oriente fondato sulla legge islamica. Per raggiungere questo scopo sono più preparati che mai anche ad attaccare obiettivi Usa in Medio Oriente, utilizzando tutta una serie di organizzazioni islamiste locali che con al Qaeda condividono risorse e obiettivi puntuali.
Un aiuto inaspettato nel perseguimento del loro grande disegno è arrivato dalle rivoluzioni della Primavera araba. Inizialmente salutate come l’opportunità per trovare un’alternativa ai regimi dittatoriali del Maghreb e la prova che l’Islam politico sarebbe potuto esistere all’interno di un quadro democratico, si sono rivelate invece la dimostrazione che l’Islam politico non ha un futuro costituzionale e non sarà mai accettato dagli eserciti e dall’Occidente. L’unico modo di instaurare uno Stato islamico resta la lotta armata.
FINO ALLE COSTE DEL MEDITERRANEO
L’esempio più eclatante dell’inefficacia della politica e dell’assoluta necessità della guerra è la Siria. Qui Jabhat al Nusra, l’organizzazione jiadhista nata nel 2011per lottare contro le forze del dittatore Bashar Assad e riconosciuta la scorsa primavera come affiliato di al Qaeda, è oggi un potente braccio armato del terrore. In Egitto invece il colpo di Stato compiuto lo scorso luglio dall’esercito contro i Fratelli musulmani ha consentito ad al Zawahiri di richiamare i Fratelli più delusi e più combattivi alla Jihad contro l’esercito e gli occidentali. In Tunisia gli attacchi del gruppo jihadista Ansar al Islam contro gli esponenti del movimento liberale hanno costretto alle dimissioni il neoeletto esecutivo conservatore mentre la crescente presenza lungo i confini di al Qaeda nel Maghreb islamico (Aqim) rischia di trasformare il Paese in una centrale di al Qaeda nel Maghreb. In Libia i gruppi qaedisti non convincono la popolazione, ma nell’ex Jamahiria si rifugiano comunque: soprattutto nelle desertiche regioni meridionali, protetti dall’anarchia imperante.
Nell’ultimo biennio gli Usa, colti impreparati dai risultati delle rivoluzioni arabe, hanno scelto le retrovie un po’ in tutto il Medio Oriente. Così inaspettatamente gli eredi di bin Laden si sono ritrovati in una posizione di forza regionale che il loro leader carismatico tre anni fa non avrebbe nemmeno potuto immaginare.
DAL SUD-EST ASIATICO ALLA NIGERIA
Molto numerosi e sparsi sia sul continete asiatico sia su quello africano sono i cosiddetti "associati" di al Qaeda, ovvero quei gruppi islamisti locali che con gli affiliati dell’organizzazione collaborano e intrattengono relazioni fondamentali per la crescita della sua rete e l’efficacia delle sue operazioni. I tre associati storici del nucleo originale, sono Lashka Taiba, la rete che ad al Qaeda ha offerto ospitalità e copertura in Pakistan quando gli americani hanno invaso l’Afghanistan. Ma tanti altri soggetti assumono un ruolo più o meno importante a seconda dei periodi storici: da Jemaah Islamiyah nel Sud-est asiatico (il gruppo responsabile dell’attentato a un night club di Bali nel 2002) a Boko Haram in Nigeria, tristemente famoso per i ripetuti massacri dei concittadini cristiani.
YEMEN, IL TERRORE È ON LINE
Sono invece al momento solo sei i gruppi islamisti armati ufficialmente accettati dal gruppo storico di al Qaeda come affiliati, ovvero coloro che ne seguono pedissequamente direttive e strategia.
Innanzitutto al Qaeda nella Penisola Araba, o Aqap, capeggiato da Nasir al-Wuhayshi, il saudita di origini yemenite una volta segretario di bin Laden, oggi ufficialmente numero due dell’organizzazione. Aqap si è formata nel 2009 dalla fusione e ristrutturazione della sezione yemenita di al Qaeda con quella saudita, quasi smantellata in patria, e si è rafforzata di pari passo con l’indebolimento del nucleo storico di al Qaeda in Afghanistan e in Pakistan per mano statunitense.
Al momento è Aqap, per potenza e collocazione geografica, a mantenere i rapporti degli altri affiliati (come il gruppo maghrebino Aqim e i somali di al Shabaab) con i vertici di al Qaeda. Ed è forse l’unica organizzazione qaedista in grado di condurre attacchi terroristici contro obiettivi occidentali al di fuori della propria regione d’influenza grazie agli stretti rapporti tra al Zawahiri e al Wuhayshi e al contesto favorevole offerto dallo Yemen, uno Stato sfilacciato e corrotto, con un forte ancoraggio tribale. Nonostante i tentativi da parte dell’Intelligence occidentale di smantellarla, Aqap continua anche a produrre una rivista on line di successo, "Inspire", fondata dal carismatico sceicco di origine yemenita ma di nazionalità americana Anwar al Awlaki (ucciso l’anno scorso dai droni Usa): il sito ha l’obiettivo di convertire i musulmani occidentali alla causa di al Qaeda. A questa pubblicazione si deve, ad esempio, la radicalizzazione di Nidal Hasan, lo psichiatra dell’esercito statunitense che nel 2009 uccise 13 persone a Fort Hood in Texas.
NEL SAHARA ALLEANZA CON I TUAREG
In Nord Africa sono invece i maghrebini di Aqim a spadroneggiare, sotto il comando dell’emiro algerino Abdelmalek Droukdel. Alleandosi con un gruppo locale islamista di origine Tuareg, Ansar al Din, e approfittando del caos in Libia, quelli di Aqim si erano estesi in Mali: dopo l’invasione francese, si sono ritirati in Niger e in Libia dove stanno reclutando anche ex membri del movimento di Ansar al Sharia, il gruppo islamista responsabile dell’attacco di Bengasi dell’11 settembre del 2012, quello in cui perse la vita l’ambasciatore americano Christopher Stevens.
L’influenza di Aqim sui gruppi islamisti africani si sta consolidando. Oltre agli stretti rapporti con gli associati di Ansar al Sharia guidati dal tunisino Saifallah ben Hassine, e con Ansar al Din, ha esteso la sua influenza anche sull’organizzazione islamista nigeriana Boko Haram, fondata nel 2001 e poi trasformata nel 2009 in un gruppo jihadista. Come risulta dalle lettere ritrovate dall’esercito francese a Timbuktu, a consigliare Droudkel sul comportamento da tenere per conquistare il favore della popolazione era stato proprio l’emiro dell’Aqap Wahayshi, che - a dimostrazione della sua relazione simbiotica con il nucleo storico di al Qaeda - si faceva anche corriere dei messaggi di al Zawahiri.
E SONO TORNATI ANCHE IN IRAQ
Risorta dalla sue ceneri dopo la batosta subita per mano del generale David Petraeus, è invece al Qaeda in Iraq (Aqi): nata già prima dell’invasione Usa in Iraq, riconosciuta da bin Laden come affiliata nel 2004, ha oggi unito le forze con altri gruppi islamisti prima in Iraq e poi in Siria, diventando la temuta Isis, The Islamic State of Iraq and al Sham, che ha l’obiettivo dichiarato di fondare il Califfato islamico del Levante, dall’Iraq alla Siria. Morto l’inefficace al Zarqawi, alla sua guida è ora Abu Bakr al Baghdadi. Tra i suoi obiettivi c’era anche l’unificazione con Jabhat al Nusra, ma quest’ultimo gruppo si è rifiutato, appellandosi ad al Zawahiri e restando quindi affiliato indipendente di al Qaeda. Ma nonostante questo smacco, Isis si sta rafforzando e sta continuando a drenare combattenti da al Nusra, soprattutto quegli stranieri che appaiono più interessati al Jihad che alla lotta contro Assad.
Infine, oltre al movimento degli al Shabaab di Ahmed Godane, da due anni riconosciuto come affiliato, anche l’Emirato del Caucaso (un’entità virtuale che dal 2007 combatte per l’indipendenza cecena) fa parte del network ufficiale di al Qaeda.
Non è bastato insomma ucciderne il fondatore e leader carismatico. Al Qaeda continua a essere una minaccia per gli Usa e per l’Occidente. E resterà tale finché migliaia di persone saranno pronte a uccidere e a morire nel nome di Allah, dall’Africa all’Asia.