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 2013  novembre 01 Venerdì calendario

SALVIAMO ALINARI E L’ITALIA CHE NON C’È PIÙ


Il celebre archivio fotografico che conserva due secoli di arte, personaggi e paesaggi è in crisi da anni. E si batte per scongiurare il rischio crac

C’è un’Italia bellissima, non deturpata dal cemento. Ci sono volti, come quello di Cavour o di Vittorio Emanuele II, che conosciamo da una foto. L’immaginario del paesaggio e della storia nazionale è merito dei fratelli Alinari, che nel 1852 fondarono la prima azienda fotografica al mondo. Ma nell’ultimo decennio questa istituzione culturale ha avuto difficoltà a valorizzare l’immenso patrimonio di oltre 4 milioni di immagini, riducendo di molto l’attività aziendale. Anche se il recentissimo accordo con l’agenzia di informazione Ansa potrebbe essere una prima soluzione ai problemi economici di Alinari. Il 24 ottobre scorso, infatti, l’amministratore delegato Giuseppe Cerbone e il presidente di Alinari Claudio Saibanti De Polo hanno siglato un accordo commerciale che sembrerebbe portare risorse nuove, indispensabili per il vecchio archivio fiorentino.
Dai fondatori la società passò a un gruppo di nobili, poi al conte Vittorio Cini, in seguito alla famiglia Zevi e dalla metà degli anni Ottanta all’imprenditore e bibliofilo genovese, ma triestino di adozione, Claudio Saibanti De Polo. Sul suo conto aleggiano leggende, come quella della stretta amicizia con l’attrice Sylva Koscina negli anni Sessanta, durante la sua attività dirigenziale alla Stock (non proprio brillante, secondo quanto scriveva Franco Morpurgo, ex dirigente della distilleria triestina), e critiche che lo descrivono come un volubile accentratore. Quello che lo storico marchio Alinari è adesso lo si deve, nel bene e nel male, a quest’uomo.
C’è la Fondazione fratelli Alinari che gestisce il Museo nazionale della fotografia in piazza Santa Maria Novella a Firenze. La sede del museo è concessa dal Comune di Firenze e, fra il 2005 e il 2010, la Fondazione ha ricevuto circa 700 mila euro dalla Cassa di risparmio di Firenze. «È un museo che espone soprattutto mostre esterne già montate e pronte», dice Daniela Tartaglia, esperta di esposizione e archiviazione fotografica, «eppure col patrimonio immenso di foto dell’archivio si potrebbero organizzare eccezionali eventi. Invece si vivacchia».
C’è Alinari 24 Ore che da agosto 2012 è in liquidazione, perché Il Sole 24 Ore si è sfilato dalla società che era stata messa in piedi solo quattro anni prima; e c’è la società principale: Alinari Idea, controllata da Cofina (Compagnia Fiduciaria Nazionale). Oggi il debito generale dell’azienda è di oltre 8 milioni di euro. «Alinari era una boutique di straordinario valore», dice Salvatore Carrubba, ex direttore del "Sole 24 Ore" e primo amministratore di Alinari 24 Ore: «De Polo aveva blindato l’archivio e noi dovevamo commercializzare un prodotto non nostro e difficile da vendere, perché dal 2008 il mercato delle immagini subì un calo enorme. De Polo poi, pur essendo presidente, aveva mantenuto un ruolo esecutivo e io non riuscivo a stare dietro all’azienda quanto avrei desiderato». De Polo, d’accordo con Claudio Calabi, allora ad del Sole 24 Ore spa, pensava di commercializzare meglio le foto del suo immenso archivio tramite la concessionaria pubblicitaria System sempre del gruppo milanese. Era una buona idea, ma il momento era sbagliato: il mondo dell’editoria, con l’ascesa di Internet, accusava una flessione enorme. Forse Alinari avrebbe avuto maggiore fortuna se nel 2001, quando chiese a Rcs di entrare in società, Cesare Romiti non avesse declinato l’invito: al tempo la crisi vera non era ancora arrivata.
Oggi il problema è serio. Oltre al debito ragguardevole, impressiona la poca attività della "casa madre" che nel 2012 ha mosso un giro di affari inferiore ai 200 mila euro. Mentre la società con Il Sole 24 Ore è congelata, la Alinari Idea ha un solo dipendente. Tutto il resto del personale, che era passato ad Alinari 24 Ore, è in cassa integrazione fino al 14 gennaio 2014. Sono circa 25 persone, che in parte, promette De Polo, saranno riprese a lavorare con contratti atipici da Alinari Idea che però non naviga in buone acque. Ha debiti importanti con il fisco e con le banche; un mutuo che rasenta la cifra di 4 milioni, da restituire a Unicredit a rate fino al 2025 circa, e una ghigliottina più seria che pende sul suo collo, cioè un prestito obbligazionario di 2,5 milioni che scade a dicembre 2016.
Poi c’è la questione giudiziaria. A inizio 2013 la Corte dei Conti ha inserito nella lista degli sprechi nazionali i 600 mila euro pagati dalla Regione Friuli Venezia Giulia ad Alinari per la messa in opera del museo virtuale della fotografia di Trieste. Un museo che non è mai stato realizzato. De Polo sostiene per causa del Comune di Trieste che non gli ha mai formalmente concesso l’edificio di Campo Marzio. Resta il fatto che il pm triestino Federico Frezza, dopo le indagini della Guardia di Finanza, ha indagato De Polo per truffa e malversazione: la Procura gli contesta non solo di aver rendicontato, incassato e destinato la maggior parte del finanziamento a scopi diversi ed estranei alle finalità previste dal contributo regionale, ma pure l’aggravante di aver procurato alle casse pubbliche un danno ingente. Infatti, a marzo 2012 il procuratore triestino della Corte dei Conti, Maurizio Zappatori, con l’ipotesi di danno erariale faceva recapitare un invito formale a comparire per De Polo e ben cinque funzionari regionali che avevano autorizzato il versamento dei 600 mila euro ad Alinari. Il 28 novembre prossimo si aprirà il processo penale a carico di De Polo che a sua volta promette di difendersi con prove a suo discarico.
Se il presente è carico di incertezze, in passato De Polo aveva avuto un periodo buono con la direzione del fotografo George Tatge che guidava il progetto Telecom, per la produzione di foto degli elenchi telefonici Seat. È per questo che ancora oggi Telecom Italia possiede azioni in Alinari per 453 mila euro. Gli anni Novanta furono positivi, ma con l’avvio del nuovo millennio e l’uscita di scena di Tatge, De Polo imboccò male la strada della digitalizzazione, anche se il progetto era stato ambiziosamente chiamato "Save Our Memory".
«Non mi occupavo di questo», racconta Tatge, «ma mi accorsi che in azienda si cominciò il passaggio al digitale in maniera approssimativa. Chi seguiva questo progetto pensò di affidarsi a una tecnica creata per un uso amatoriale della fotografia e non certo per un archivio di qualità come quello degli Alinari. Soltanto dopo un po’ di tempo si convinsero di passare alle nuove tecnologie della scansione in alta definizione da fare direttamente in azienda».
Oggi il più grande e famoso archivio fotografico europeo ha problemi: un deficit enorme, un’attività lavorativa quasi inesistente, debiti verso l’erario e le banche, il grosso mutuo verso Unicredit e il prestito obbligazionario da rimborsare per 2,5 milioni di euro.
Dal 2011 Cofina immette liquidità per circa 450 mila euro all’anno, e si vendono a privati fotografie dell’archivio storico. Il rischio è che Alinari cominci a erodere l’archivio, anche se De Polo assicura che sono vendute soltanto «copie originali di fotografie doppie». Resta comunque il dubbio che tra qualche anno Alinari possa non esistere più per come è stata conosciuta dal 1852 a oggi. Potremmo ancora apprezzare dalle foto dei fratelli Alinari tutto l’immaginario della storia italiana ed europea?

E POI ARRIVARONO STIGLITZ E MARAINI –

L’archivio Alinari ha un valore di circa 140 milioni di euro. È il cuore dell’azienda che custodisce il grande patrimonio ritrattistico e documentario sull’arte, la storia, il costume, il paesaggio, l’industria e la società italiana ed europea, dalla seconda metà dell’Ottocento a oggi. Fanno parte dell’archivio fondi di immenso valore culturale
ed economico come l’originaria collezione dei fratelli Alinari, i fondi Anderson, Brogi, Chauffourier e Mannelli. Poi, negli ultimi decenni del Novecento, De Polo è riuscito ad aggiungere fondi importanti (su lastra e pellicola) come la collezione di Italo Zannier, di Daniela Palazzoli, di Ferruccio Malandrini, di Wulz, di Michetti, di Nunes Vais.
Una delle acquisizioni più importanti è stata l’archivio Villani di Bologna, che prende il nome dal grande fotografo dell’industria italiana: si tratta di circa 600 mila scatti di oltre 7 mila aziende italiane. Ma l’archivio Alinari dispone anche delle immagini delle opere d’arte di proprietà dello Stato italiano per concessione del ministero per i Beni e le Attività culturali, e anche le foto dell’Istituto Luce, del Touring Club italiano, dell’Ansa, di Rai Teche, di Rizzoli, di Finsiel, di De Agostini, e tante collezioni prestigiose come quelle di Stiglitz, Fosco Maraini, Felice Beato, Paolo Gioli e il fondo del barone Von Gloeden.